Gino Mignolli, Lucenti Sorrisi 1/3
Ligio a quanto demandato dal buon Massimo di effigiare il territorio lastrigiano del Glorioso R.C. Bisenzio, appellazione ahimè sacrificata agli alti voleri, considerato le tante pubblicazioni sulle chiese, monumenti, ville, selve e santi del natio borgo, mi appresto a un’escursione per siti meno noti, con facete divagazioni.
Prendendola alla larga annoto che questo territorio, assieme a tutti quelli dei rotariani club dell'ora in voga Area Medicea, tempo addietro costituiva il letto di un immenso lago ricco di più o meno grandi pesci.
Se di quelli da frittura non abbiamo vestigia, tra quelli da trancia fa bella mostra di sé una costola lunga oltre cinque metri sotto la gronda della fila di case che s’incontra dopo Porto di Mezzo lungo la via Livornese, il cui toponimo non poteva che essere La Lisca.
Proseguendo poco oltre ecco la Gonfolina, estremo occaso versante dell'immenso bacino, proprio sul confine della nostra rotariana circoscrizione, dove una barriera di macigni tra gli scoscesi pendii del Montalbano e delle Selve qual naturale diga nella ristretta valle, originava l'invaso.
La sua rimozione e il facile deflusso delle acque verso il mare permisero la creazione di tutto quel ben di Dio di cui oggi Firenze e il suo contado fanno bella mostra di sé, come riporta lo storico Pierfrancesco Giambullari nel suo trattatello Il Gello degli inizi del Cinquecento.
Facendo la rottura della Gonfolina e alla città di Firenze desse principio.
Alquanto ingarbugliata è l'attribuzione del lodevole intervento: I geologi lo enunciano come un fenomeno naturale, mentre gli antichi storici Giovanni Villani, Giovanni Ricci, Scipione Ammirato, Raffaello Borghini e, in qualche maniera, anche il grande Leonardo da Vinci rimarcano l'opera dell'uomo.
Diverse leggende circolano sulla Gonfolina, tant'è che oggi viene ricordata come Masso delle Fate, che collocano questa bonifica in tempi ancor più remoti.
Chi riporta queste note è legato a quella raccontata dal nonno che colà mi accompagnava con il calesse in un giorno di festa, meta obbligata per i bambini, come una vecchia foto mostra.
La paesana epopea rievoca Ercole che, tornando dalla Spagna dopo la decima fatica con suo figlio Etrusco, ammaliato dalla bellezza del posto, vi si fermò.
E, per alleviare i disagi dei tanti popoli insediati sui colli circostanti, in quattro e quattr'otto, rimosse lo sbarramento divenendo re degli Etruschi, così le autoctone genti riconoscenti lo elessero.
Mi conforta sapere che le leggende popolari, diversamente dalle favole che raccontano fatti fantasiosi, sono frutto di avvenimenti reali, pur infiorettati, nel corso dei secoli, con astratte immaginazioni dagli uomini che penano la loro concezione.
Risalendo il vecchio emissario reale, già Arnus poi volgarizzato Arno, dall'indefinito etimo, ammiro dal basso la villa Salviati e quella di Bellosguardo, ora arricchita, grazie a una meritoria iniziativa della Pro Lastra, con la chicca del museo Enrico Caruso; signorili dimore bellamente illustrate nel volume Mecenati e Artisti in Villa edito dal nostro Club nel 1999.
Eccomi al Porto di Mezzo, allo sbocco del Bisenzio, nome quanto mai caro almeno per un ventennio! al nostro Club.
Fiume dalle due sorgenti, il cui etimo attesta, declamato da Dante, D'Annunzio, Malaparte e, buon ultimo, da Luzi e peculiare per il cangiante cromatismo delle acque.
Alla fine del suo corso le tante gore che da Vernio in giù si diramano, dopo aver alimentato le industrie pratesi, si trasformano in loro collettori e, non trasparenti affluenti, ritornano nel Bisenzio.
Va da sé che a valle ben si distingue il vestiario colore di moda.
Da qualche anno per una maggiore attenzione ecologica e forse per la prolungata crisi del tessile i Signesi per essere alla page debbono sfogliare le confacenti riviste.
Con nostalgici ricordi rimiro i Sindacati, già Arcimaiuscola Casa del Fascio.
Edificio di notevole impatto estetico per l'eclettico stile a forma di tempio con le facciate e gli interni intarsiati con inserti di motivi ornamentali in terracotta della celeberrima Manifattura di Signa, costruito dal Coppedè alla fine degli anni venti. Impianto ancora pregevole, pur monco delle due svettanti colonne sfarzosamente fregiate su modelli romani, che incorniciavano l'ingresso, come sbiadite foto ci mostrano, e che purtroppo nell'immediato dopoguerra un’irrazionale furia vendicativa abbatté.
Da allora le giovani generazioni dell'intero basso Valdarno hanno amato i Sindacati, consacrato ginnasio del ballo per la grande sala e per le balconate con ideali cantucci per incontri galanti e fugaci baci.
Dancing sempre gremito nei fine settimana e per le feste comandate, forse per la materia prima, come si evince nel noto blasone
Signa maligna,
non ci levar nuora,
non ci metter figlia,
Se una cosa la devi fare,
metterla, ma non la pigliare
Ponte bellona
Lastra e Porto sudiciona.
Oltrepassata la chiesina di Sant'Anna, la vecchia Patrona di Firenze, che, grazie al prezioso volume della studiosa Anna Valentini Iconografia Fiorentina di Sant'Anna dal nostro Club a suo tempo commissionatole, almeno per il 26 Luglio accompagnata da stendardi e rullio di tamburi, può ritornare nella sua Orsanmichele, svetta sul poggio la possente torre campanaria del loggiato complesso di San Martino a Gangalandi.
La rinascimentale chiesa dall'unica navata vasta oltre 1000 braccia quadre ricca di altari e affreschi con la splendida abside di Leon Battista Alberti e il canonicale museo, pregno di tesori, m'inducono a pensare che, se i Francesi potessero disporre di tanto, non sarebbe mancato nelle vicinanze l’aeroporto.