Dizionario geografico fisico storico della Toscana (Emanuele Repetti, anno 1833)
Fiume Arno
Arno (Arnus fl.) Il fiume maggiore della Toscana, alla quale un tempo ha servito di politico confine, non potrebbe definirsi meglio che con le parole del divino Alighieri: Un fiumucel che nasce in Falterona. E cento miglia di corso nol sazia.
Piccolo di fatti in principio egli si accresce per via con cento minori rigagnoli, torrenti e fiumane che in Arno si vuotano, e navigabile lo rendono sotto ai ponti della sua città regina.
Questo fiume storico che tanto male e tanto bene apportò con le immense sue alluvioni; questo fiume, a cui un dì lo stesso Serchio rendeva generoso tributo, non vedeva la Chiana come oggi corrergli appresso.
Piacque a taluni scrittori derivare la parola Arno da greca origine (Ar noV) significante agnello , mentre altri credettero che alla Tribù di Roma Arnense dasse il suo nome Arno, piuttosto che l’antico paese di Arna posto nel confine dell’Umbria fra Città di Castello e Perugia.
Nasce l’Arno da due fonti che zampillano fra enormi massi di macigno presso la vetta della Falterona, monte che ha alla sua destra l’Alpe di S. Godenzo, a sinistra l’Appennino di Camaldoli.
Sul rovescio di questa montagna medesima, dal lato di scirocco verso l’Alvernia, a 18 miglia geografiche da Capo d’Arno, è il giogo donde scaturiscono i due rivi che danno origine al Tevere.
Il luogo che conserva il nome di Capo d’Arno trovasi 2320 braccia sopra il livello del mare; 505 braccia più basso che non è la sommità della Falterona, a (ERRATA : 39° 20’) 29° 20’ longitudine e 43° 52’ latitudine quasi cento miglia lineari distante dalla sua foce, la quale nel 28° 55’ longitudine 43° 41’ latitudine trovasi situata.
Quando però si volge l’occhio all’andamento primitivo dell’Arno stretto fra i contrafforti pietrosi della Consuma e di Pratomagno, i quali corrono in una direzione quasi parallela alla contigua Valle superiore del Tevere; allorchè si vede l’Arno dopo 30 miglia bruscamente piegarsi ad angolo acuto e cambiare affatto direzione per ritornare dopo 60 miglia di giro appena 4 leghe discosto dalla sua sorgente, allora si concepisce per qual ragione cento miglia di corso nol sazia per giungere al mare.
Andamento e confluenti maggiori dell’Arno nei suoi varii bacini .
La valle dell’Arno è una di quelle che i geologi appellano trasversali, essendo che tale la si considera rapporto all’Appennino dal quale si stacca.
Essa, a partire dalla sua origine sino al litorale, è rinchiusa fra monti di un ordine inferiore alla catena principale, i quali variando andamento, ora si allargano, ora si restringono, e più volte si ravvicinano fra loro in guisa di foce, che formano steccaja alle acque fluenti da uno in altro bacino tante volte, quanti sono i nodi montuosi che costituiscono le foci o serre alla valle.
Non meno di cinque bacini l’Arno percorre, né meno di altrettante dighe naturali egli dovette superare innanzi di giungere maestoso nel Delta della pisana pianura.
Imperocchè, a partire dal Capo d’Arno, questo dirizza prima il suo povero calle da maestro a scirocco, volgendo per 7 miglia di cammino le sue onde spumanti di rupe in rupe fino a che tra Porciano e Romena la valle gradatamente si dilata in più dolce pendio, e un alveo meno vagante costà sotto il ponte di Stia le acque correnti ritrovano.
La Ciliegete, il Gravino, la Vincena, il Bucigne e la Sega sono:
Li ruscelletti che de’verdi colli Del Casentin discendon giuso in Arno, innanzi che da’gioghi dell’Eremo corrano a porgergli tributo la Staggia e il Fiumicello; uno de’quali prezioso rendesi all’industrioso popolo di Stia, mentre l’altro offre a Pratovecchio il primo porto, dove Camaldoli mette in Arno i suoi Abeti.
Da questo punto la valle il più che può largheggia, e il fiume in sformate sponde va spaziando fra Certomondo e Campaldino prima di investire alla sua destra il poggio di Poppi.
Egli vi arriva già fatto onusto dai torrenti Solano, e Strumi , che vengono dalle occidentali pendici, mentre la Sova discende dall’opposto lato.
Stretto di nuovo in più angusto spazio, l’Arno attraversa i due sproni di Bibbiena e di Castel Focognano, corre costà venendo dall’Eremo l’Archiano, e poco più in basso nel fianco stesso scendono dall’Alvernia e da Chiusi il Corsalone e la Rassina. Solcano fra i poggi di Castel Focognano i torrenti Treggina, Soliggine, e Salutio, l’ultimo de’quali scaturisce dall’Alpe di S. Trinita o Pratomagno.
Questo monte che con le sue propagini oppone un costante intoppo all’andamento dell’Arno sino presso a Pontasieve, spinge di fronte al poggio di Acona e allo stretto di Groppino un contrafforte cotanto innanzi, che sembra quasi collegarsi all’Appennino di Catenaja, il quale scende in questa foce quasi a picco.
Costà all’ingresso dello stretto si S. Mamante, dove si chiude il primo bacino del Val d’Arno, l’impeto delle acque fluenti ha tracciato fra immensi solidissimi strati di macigno un profondo tortuoso passaggio per introdursi nella convalle di Subbiano, dove va rodendo e ognora scalzando le radici dei suoi poggi vitiferi.
In siffatta traversa il corso del fiume tende a variare direzione; ed egli è già rivolto a mezzo dì, allora che passa sotto il ponte a Caliano e si introduce nel piano di Arezzo.
Appena giunto alla confluenza della Chiassa, l’Arno compie quella brusca voltata che Dante dipinse con i suoi natii colori.
Infatti se il fiume continuasse quì la intrapresa direzione, dovrebbe correre a investire di fronte la collina di Arezzo, e di là introdursi in Val di Chiana, in vece di torcere (agli Aretini) disdegnoso il muso , e rivolgersi a ponente in cerca dei contrafforti meridionali dello stesso monte Pratomagno.
È in questo secondo bacino, di circa dodici miglia di diametro, è qua dove s’incontrano due fenomeni geografici singolarissimi.
Il primo di essi consiste nel vedere un fiume reale correre verso il mare in una direzione affatto diversa da quella del maggior numero dei corsi d’acqua che scendono dall’Appennino nel Mediterraneo.
L’altro fenomeno da un sommo idraulico fu già dimostrato nell’inversione del fiume Chiana, che dalla sua scaturigine presso Arezzo tutto intiero si versava nel Tevere, mentre ora quasi tutto ripiegasi a settentrione per vuotarsi nell’Arno.
Cosicchè la natura coadiuvata dall’arte con incalcolabile profitto fisico ed economico, ha saputo tranquillamente eseguire quel progetto che 18 secoli prima sommamente allarmò i fiorentini davanti al Senato di Tiberio.
(TACITO Annal. lib. I)
La diga interposta fra il piano di Arezzo e il Val d’Arno di sopra , ossia fra il secondo e il terzo bacino, comincia appunto alla confluenza del fiume Chiana, dove ha principio la pescaja di Monte sopra Rondine, la quale dalla sua figura porta eziandio il nome di gola dell’ Imbuto.
Superato un tal passaggio, le acque correnti incontrano, tre miglia dopo, un nuovo ostacolo pietroso alla Valle dell’Inferno, là dove Pratomagno spinge le sue radici sotto il castello di Laterina, mentre nell’opposta parete gli scendono incontro i poggi di Val d’Ambra.
È al ponte di Valle, o al Romito, presso allo sbocco del torrente Agna, dove l’Arno libero passeggia per 18 miglia in un più vasto ed ubertoso bacino, sino a che trova una profonda pietrosa strettura al passo dell’Incisa.
In questo terzo bacino il fiume corre in un alveo volto fra maestro e settentrione, costeggiando costantemente il colossale bastione di Pratomagno, nel tempo che gli fanno corona dal lato manco i monti del Chianti.
Fra i maggiori influenti si contano in questa sezione, dalla parte destra, l’Agna di Lanciolina, il Cioffenna di Loro, il Faella, il Resco di Scò unito a quello di Cascia, e per ultimo il Chiesimone di Reggello.
Scendendo dai monti verso il Chianti il fiume Ambra , il torrente Cerboli da Cavriglia, il Cestio di Gaville, il Mulinaccio di Pian Franzese, e quello della Badia di Tagliafuni, e del Ponte Rosso di Figline.
Il tratto di canale che separa il terzo bacino dal Val d’Arno di Firenze è diretto precisamente verso settentrione.
Esso è anche il più esteso di tutti, essendochè si percorrono lungo questa foce circa 9 miglia della nuova strada Regia aretina.
È racchiuso fra le propaggini di Montescalari che si estendono nella direzione settentrionale sino al poggio di S. Donato, o di Torre a Cona, mentre nell’opposto fianco trovasi assai prossimo alla montagna di Vallombrosa, da cui scendono i contrafforti di Rignano e dell’Incisa.
Fra questi due punti esiste un profondo ed irregolare vallone pieno di scabrosi risalti, di rupi di macigno e di calcareo stratiformi, dove solamente di fertile si racchiude un angusto ripiano, detto dell’ Isola e del Leccio.
Giunto Arno alla gola di Rignano, a forza di volte e rivolte tracciate fra la base meridionale della collina di Altomena e quella settentrionale del poggio di Torre a Cona, dopo aver raccolto per via i due Vicani di Pelago e di S. Ellero, si svincola da quelle angustie sotto il colle di Volognano.
Qua l’Arno alla Sieve si marita per correre insieme nella direzione di occidente verso la pianura fiorentina, ricevendo per via dalle deliziose colline di Remole, delle Falle e di Settignano umile tributo coi loro rigagnoli, fra i quali la Mensola e l’Affrico si distinguono; mentre a sinistra egli lambisce i colli di Rosano, di Villamagna e di Candeli, prima che per il Pian di Ripoli entri maestoso in Firenze.
Tre miglia sotto la Metropoli, l’Arno incontra a destra il Mugnone, a sinistra la Greve e alquanto più lungi, al ponte di Signa, riceve dal lato meridionale il torrente Vingone, dal settentrionale il fiume Bisenzio e poco dopo l’Ombrone di Pistoja.
Alla foce di quest’ultimo che ha di fronte il poggio delle Selve, circa 22 miglia distante dallo stretto superiore di Rignano, il bacino del Val d’Arno fiorentino si chiude, e le acque fluenti trovano una quarta barricata fra i poggi del Malmantile e di Artimino.
Costà dove si serra la Valle di Firenze, comincia la profonda e tortuosa foce di solido macigno, dalla quale prese nome lo Stretto della Pietra Golfolina.
Esso continua per cinque miglia di strada fino a che giunto fra Montelupo e Capraja, l’Arno sbocca nel quinto bacino, il più largo dei già percorsi, e dentro a cui confluiscono a sinistra le fiumane della Pesa , dell’Orme , dell’Elsa , dell’ Evola e della Cecinella , mentre dal alto destro le due Pescie e la Nievole, dopo aver allagato i paludi di Fucecchio e di Bientina, entrano in Arno per i canali dell’ Usciana e delle Seresse.
Allo sbocco di questi emissari, a 22 miglia lungi dal Monte Lupo, termina il quinto bacino dell’Arno, fra le ultime diramazioni subappennine di Montefalcone e di Montopoli, le quali presentarono alla forza impellente delle acque troppo debole ostacolo nella Rotta di fronte a Montecalvoli.
Presso a quest’ultima foce, sotto la quale confluisce il fiume Era, comincia il sesto bacino del Val d’Arno pisano che va fino al mare.
Ad esso formano ala due gruppi montuos i, il monte Pisano che gli sta accosto a destra, dal lato sinistro, e un poco più lungi i monti Livornesi.
Un ramo attualmente divenuto inutile l’Arno lascia a sinistra, allorchè fa gomito a S. Giovanni alla Vena.
Il qual ramo è noto sotto il nome di Arnaccio, appunto perché riceveva una porzione dell’Arno stesso al trabocco delle Fornacette in occasione di eccedenti alluvioni.
(Vedere ARNACCIO).
All’opposto nell’antico alveo dell’Arno metteva foce alle porte di Pisa il fiume Serchio, di dove deviò dopo s pento l’occidentale Impero.
Colpo d’occhio sullo stato fisico del suolo percorso dall’Arno.
È un’ipotesi basata sulla fisica struttura del terreno percorso dall’Arno, che altrettantì laghi esistessero nei cinque bacini poco sopra descritti, in tempi però inaccessibili alla storia, e prima che l’impeto delle piene e dell’acque, fluenti da uno in altro bacino, rompendo si aprisse il varco fra le potenti e naturali dighe esistite alle gole di Subbiano, all’Imbuto, all’Incisa , a Rignano , alla Golfolina e alla Rotta.
I profondi depositi fluviatili, misti aglia avanzi di selve alpine e di grandi quadrupedi sepolti nell’antico fondo di simili lagune, ci richiamano evidentemente a quella remotissima età. Tali depositi sogliono diminuire di mole quanto più i bacini nei quali si arrestarono vanno allontanandosi dalla catena superiore dell’Appennino.
Il primo bacino infatti, quello del Casentino, trovasi più latamente ripieno di grandi ciottoli di quel che lo sia il secondo bacino di Arezzo.
Nel quale ultimo, dopo l’apertura seguita alla gola dell’Imbuto ossia di Monte, e alla Valle dell’Inferno, abbassatosi il pelo delle acque fluenti, tutti i fossi e canali che concorrono in Arno davanti ad Arezzo, dovettero scavarsi un alveo fino alla profondità di 50 e più piedi sotto il piano attuale, mercè cui fu scoperto un suolo mobile, assai più ghiajoso di quello arenoso che vanno giornalmente scalzando nel Vald’Arno superiore il torrente Ciofenna, i due Reschi, il Faenna, e diversi altri minori rigagnoli.
Devesi all’abbassamento della Foce dell’Incisa la depressione del suolo operato da quest’ultimi torrenti che hanno tagliato un profilo di 80 e più braccia di altezza.
Esso è formato di un deposito di rena, ivi detta sansino, dove si nascondono i carcami dei mastodonti, degli elefanti europei, e d’altre razze di ruminanti di specie perdute.
Sopra il qual sansino o rena di fiume si adagiano alternanti depositi di ghiaja più o meno potenti e di vario volume, che costà traboccanti piene, o tranquilli corsi di acqua, durante una lunga serie di secoli lasciarono per via.
Non dirò degl’interramenti del (ERRATA: terzo bacino) quarto bacino, nel cui centro risiede la popolosa Firenze, dove il concorso della Sieve e della Greve unito a un maggior corpo di acque fluenti dai superiori bacini, e la pendenza ardita da Pontasieve a Firenze potè contribuire a trascinare seco gran parte di que’ciottoli e ghiaje che ad un’altezza vistosa si veggono sospesi tuttora in vari punti della valle fiorentina, non che nel bacino che gli subentra, oltre passata la Golfolina.
La Val di Chiana, che per molti rapporti geografici trovasi nelle condizioni stesse della Val d’Arno di sopra , mentre geologicamente considerata si accosta più facilmente con il Val d’Arno di sotto a Firenze, la Val di Chiana pur essa conserva una testimonianza di quanto testè fu accennato.
Ciò apparisce in quella striscia di suolo elevato che corre parallelo al canale maestro della Chiana, sino a Bettolle, la quale viene lentamente logorata dal tortuoso torrente Esse, intorno alle colline di Cesa, di Marciano, di Pozzo e di Fojano. Mentre al di là del canale l’altopiano di Pozzuolo e di Giojella quasi intatto esiste tuttora, a guisa d’istmo palustre, fra il lago di Trasimeno e quello di Montepulciano e di Chiusi.
Né si potrebbe concepire in qual modo interramenti arenosi, profondi a pari di quelli del Val d’Arno superiore, potessero depositarsi nella Val di Chiana a tanta elevatezza, senza ammettere la preesistenza di un’altissima diga naturale, che facendo pescaja alle acque fluenti dal Casentino e da Arezzo, obbligasse quest’acqua a indirizzarsi e ristagnare in cotesta vastissima palude. La qual palude potè trovare il suo primo emissario lungo la foce esistente fra lo sprone orientale del monte di Cetona e le propagini occidentali del poggio su cui risiede Città della Pieve.
La Valle dell’Arno inferiore allo stretto della Golfolina offre in molti rapporti geologici una fisonomia che assomigliasi a quella della Valle della Chiana. Essendochè tanto l’una che l’altra si trovano fiancheggia te da due linee di poggi coperti da terreni di natura affatto diversa fra loro, cioè dal lato dell’Appennino fanno a entrambe spalliera i terreni secondari stratiformi di grès antico, di calcareo e di schisto argilloso, i quali alla base sono coperti da immensi banchi di ciottoli e di ghiaja dell’indole stessa delle rocce designate.
Al contrario, dall’opposto lato volto verso il littorale, si fanno innanzi i poggi di terreno terziario marino. Da questi trovasi divisa la Val di Chiana dalla Valle dell’Ombrone, come lo è il Val d’Arno inferiore dalla Valle dell’Era, e dalla colmata pianura di Pisa.
Finalmente l’Arno, dopo essersi introdotto nel Delta pisano accresciuto dalle acque dell’Era, va lentamente serpeggiando lungo i frastagliati sproni del Monte Pisano nella direzione di oriente a occidente, sino a che sotto all’ultimo ponte di Pisa cede una parte delle sue acque al canale Naviglio di Livorno, e dirige il di più nel prolungato suo alveo a libeccio per introdursi nel Mediterraneo.
Pendenza dell’Arno nei suoi varii bacini.
Le diligenti operazioni trigonometriche eseguite sopra tutta la superficie del Granducato dall'insigne astronomo P. Giovanni Inghirami delle Scuole Pie, mentre hanno fornito ai geografi l’altezza assoluta di moltissimi luoghi ed eminenze più importanti della Toscana, possono anche servire di qualche ajuto onde dedurre, da elementi rigorosi, rapporti meno equivoci sulla livellazione dell’Arno ne’suoi varii bacini.
Scende, già si disse, Arno dall’elevatezza di 2320 braccia sopra il livello del Mediterraneo. La qual discesa è cotanto ripida nelle sue prime mosse che, nel tragitto di sette miglia trovasi a Porciano non più alto che 1077 braccia sopra il livello annunziato.
Da questo punto sino al borgo di Stia, dove l’Arno comincia a correre incassato fra gli argini, manca l’altezza positiva, la quale approssimativamente non potrebbe valutarsi meno di 250 braccia più bassa del campanile di Porciano.
Lo che darebbe dal ponte di Stia a Bocca d’Arno una pendenza di braccia 827 sopra il livello del mare. Da Stia sino al diruto ponte di Bibbiena, che è il tragitto di circa 12 miglia, la discesa dell’Arno si può approssimativamente calcolare 237 braccia.
Poichè dall’altezza assoluta di 716 braccia a cui trovasi la cima del poggio di Bibbiena, se si detraggono braccia 126 sino al pelo del fiume, resterebbe all’Arno dal ponte rotto di Arcena per scendere al mare una pendenza di 590 braccia; 146 delle quali diminuiscono nella traversa di 12 miglia fra le strette di Groppino, di S. Mamante e di Subbiano innanzi d’arrivare nella pianura aretina al confluente della Chiassa. Cotest’altezza di 444 braccia sopra il mare, all’ingresso superiore del piano di Arezzo, quasi confronterebbe con quella di braccia 435 e un terzo presa dalla soglia della porta di S. Spirito di detta città.
È un dato importantissimo quello di sapere che la soglia della goletta di Chiana è 402 braccia sopra il livello del mare, e che, dalla cresta della foce suddetta fino al pelo dell’acqua sotto la caduta, sono braccia 21. 9. 4, cui resta da aggiungere l’ardita pendenza di questo punto alla bocca della Chiana nell’Arno.
Dalla confluenza della Chiassa fino alla gola dell’Imbuto, e di là sino al ponte a Romito, l’Arno corre furioso anzi che nò, senza però avere noi dati meno che ipotetici del suo pendìo lungo questa sezione.
In quanto spetta alla livellazione del Val d’Arno superiore, certo è che, valutando 36 braccia sopra il livello del vicino Arno l’altezza della Porta Campana a Terranuova e di braccia 45 l’altezza del campanile di Figline sopra il livello dello stesso fiume presso questa Terra, il pelo medio delle sue acque non dovrebbe essere più che 208 braccia davanti a Terranova, e 192 davanti a Figline sopra il livello del mare.
Una norma più sicura sull’altezza assoluta dell’Arno, all’ingresso del quale bacino, noi l’abbiamo alla confluenza dello stesso fiume con la Sieve, mercè le osservazioni barometriche e trigonometriche
dell’astronomo prelodato.
Il quale trovò questo punto 120 braccia sopra il livello del mediterraneo, circa 45 braccia più alto dell’Arno all’ingresso di Firenze. Alla confluenza della Greve, dopo avere oltrepassato di quattro miglia la capitale, è l’Arno disceso almeno di altre 25 braccia, per quanto si può rilevare dalla livellazione stata presa dalla sommità del campanile della Badia a Settimo, che ascende a 104 braccia sopra il mare.
Dalla quale quantità fa d’uopo defalcare l’altezza della torre suddetta, che dalla sua cima al livello dell’Armo monta sino a 58 braccia.
In conseguenza di ciò alla Badia a Settimo alla foce dell’Arno, vale a dire per 50 e più miglia di tragitto, non restano più che 48 braccia di pendenza, la quale deve essere diminuita almeno della metà a Castelfranco di Sotto stante che la torre di questo castello non è più che braccia 62 e 1/2 sopra il livello del mare, mentre a Pisa il pelo dell’Arno, calcolato dalla base del famoso suo campanile, si trova quasi al livello medesimo del mediterraneo, le di cui onde nei secoli trapassatisi avvicinavano assai più d’appresso che oggi nel sono alle mura di questa città.
Vedere PISA.
Quantunque i cardini, sui quali basa la livellazione trigonometrica siano assai più stabili e meglio fondati di quelli che somministra il calcolo desunto dalle osservazioni barometriche, ciò non pertanto giova ripetere, che le livellazioni dell’Arno testè accennate sono dedotte da pochi elementi approssimativi scevri di un corredo sufficiente per potere corrispondere a quella precisione geometrica che si esigerebbe.
Contuttociò non sarà inutile di rendere qui appresso di pubblica ragione la livellazione barometrica intrapresa nell’anno 1815 dal cavaliere Giovanni de Baillou sopra varie sezioni dell’Arno, a partire dalla sua confluenza con la Sieve sino al mare, onde instituire un tal quale confronto con quella desunta per approssimazione dalle altezze assolute di vari punti trigonometrici segnalati dal Padre Giovanni Inghirami.