La paglia di Lastra nel mondo
Storia della fam. Taccetti
Il racconto di Ubaldo.
Dalle prime trecce del capostipite “Bruscolo” alla fabbrica delle “Due Madonne”.
Il commercio con gli Stati Uniti.
Il lungo declino degli ultimi trent’anni.
Poi la chiusura.
Correva l’anno 1867 e Firenze capitale del neonato regno d’Italia avrebbe di li a poco passato la consegna alla Roma di porta Pia.
Si dice a questo proposito che non furono molti i fiorentini che piansero per tale obbligato passaggio di onorificenze e di responsabilità; ma è certo che il rimanere orfani di un tale “primato” non dovette neanche far molto piacere all’orgogliosa gente di Firenze.
Comunque, ironia della sorte, la meravigliosa città toscana avrebbe dovuto entro breve tempo “sopportare” di essere ancora, a suo modo, capitale; e questa volta della produzione mondiale del cappello di paglia.
Pasquale Taccetti detto “Bruscolo”, era allora un intraprendente raccoglitore di trecce di paglia e decise giusto in quel lontano 1867 di cominciare in proprio la produzione di quei cappelli che avrebbero portato tanto lontano, e per varie generazioni, il nome della sua famiglia e di Firenze.
Da Malmantile, dove abitava, “Bruscolo”, si trasferì così a Lastra a Signa e là, in prossimità della frazione di Porto di Mezzo, si industriò per aprire la sua attività che ben presto prosperò e passò successivamente nelle mani di suo figlio Enrico, il quale impiantò una vera e propria fabbrica in località “Due Madonne”.
“Mi è sempre stato raccontato – ci dice Ubaldo Taccetti, figlio di Arnolfo Taccetti e nipote del “patriarca” Enrico – che la fabbrica cominciò la sua attività sul finire del 1908, proprio nel giorno del disastroso terremoto di Messina; e anche la mattina seguente insieme alle trecce nel magazzino c’era anche la cenere frutto di quel funesto cataclisma, trasportata fin qui dal vento.
Leggenda o meno, se Enrico Taccetti fosse stato persona facile alle suggestioni avrebbero interpretato quel segno come non certo di buon auspicio.
Ma il giovane imprenditore lastrigiano evidentemente non credeva molto alle coincidenze, e continuò per la sua strada fino a fare della sua azienda una grande fabbrica che nei momenti migliori arrivò a dare lavoro a quasi 200 operai..
Ed ebbe ragione visto che negli anni seguenti il commercio, soprattutto quello con l’America, aumentò e due dei suoi tre figli, Angiolo e Arnolfo, cresciuti com’erano a contatto con il mondo per tanti versi affascinante delle trecciaiole, giunti all’età della ragione non seppero resistere al suo richiamo e si misero così a dar manforte al babbo Enrico.
L’ultimogenito Ghiberto, invece, conseguita la laurea in medicina si avviò ad essere per oltre quarant’anni stimato ed amatissimo medico condotto del capoluogo lastrigiano, oltreché ufficiale sanitario.
“Il cappello di paglia ‘nostrale’ prodotto dalla nostra fabbrica – ci dice Ubaldi Taccetti – con la sua foggia semplice ed essenziale era l’espressione più autentica della civiltà a cui apparteneva, fatta anch’essa di valori sostanziali, e di uomini con un gran senso della dignità.
I nostri cappelli così schietti e non rifiniti venivano chiamati ‘Leg-hora hats’ dai clienti d’oltre oceano, i quali li avevano ribattezzati così americanizzando il nome della città di Livorno dal cui porto salpavano i bastimenti pieni dei caratteristici copricapo con destinazione Stai Uniti.
Ma la particolarità dei cappelli prodotti dalla sua fabbrica non era certo l’unico tratto distintivo di Enrico Taccetti: “Mio nonno – continua Ubaldo Taccetti - era un uomo di una umanità e bonarietà straordinarie e, nonostante l’aspetto autoritario conferitogli dalla sua robusta corporatura in casa, in fondo era nonna che comandava; ricordo sempre le loro buffe e continue diatribe per il desiderio di lei di tenere un pollaio alle adiacenze della fabbrica ed il terrore di mio nonno al pensiero che le galline potessero sporcare il cortile nel quale venivano esposti al sole i cappelli”.
Il ricordo di Ubaldo scorre poi gli ultimi trent’anni di attività della fabbrica fondata da suo nonno Enrico; sono ricordi di un lento ma progressivo declino dell’azienda, cominciato con l’abbandono della coltivazione della paglia da parte dei contadini, e conclusosi con il definitivo imporsi anche sul mercato statunitense dei prodotti provenienti dalla Cina.
E nonostante tutto anche in questo difficile periodo i Taccetti, (al timone c’erano già lo stesso Ubaldo e suo fratello maggiore Floriano, dopo la morte di loro padre Ghiberto), seppero, per un certo lasso di tempo, trovare efficaci soluzioni per combattere la crisi incipiente.
Una di queste soluzioni consistette nel sostituire la produzione del tradizionale cappello nostrale con un altro tipo di cappello di paglia, esclusivamente maschile, più rifinito del vecchi caro Leg-horn, e chiamato Milan-hat.
Quindi negli anni 70 , quando ormai restavano ben pochi sbocchi alla produzione italiana di cappelli di paglia, l’idea di Floriano di dar vita ad una produzione di “canotti” utilizando gli stessi amcchinari di cinquant’anni prima; poi, purtroppo, l’inevitabile cessazione dell’attività.
Ciò ha significato al fine di una storia di imprenditoria ma anche di umanità lunga più di un secolo, della quale “Bruscolo” ed i suoi tanti successori sono stati indubbiamente gli indiscussi protagonisti.
Il mondo evidentemente cominciava ad essere troppo pesante per l’esile treccia di paglia lavorata a Lastra a Signa.
Fonte: Metropolis del 31 maggio 1996 (articolista Daniele Pancani)