Dizionario geografico fisico storico della Toscana (Emanuele Repetti, anno 1833)

EMPOLI (Impolum, Empulum, Emporium) nel Val d'Arno inferiore


Terra la più popolata della Toscana, di forma regolare e ben fabbricata, che da ogni parte trabocca dal secondo cerchio delle torrite sue mura, capoluogo di Vicariato Regio e di Comunità con pieve e insigne collegiata (S.Andrea) nella Diocesi e Compartimento di Firenze.

Giace in un'aperta pianura che porta il nome della stessa Terra, presso la ripa manca dell'Arno, sulla strada Regia pisana che gli passa in mezzo, quasi nel centro del Val d'Arno di sotto a Firenze, dalla cui capitale è miglia 18 e
1/2 a ponente passando per la via postale, e 16 miglia per l'antica strada maestra che attraversa il poggio di Malmantile; 30 miglia a levante di Pisa; 4 miglia da Bocca d'Elsa, e 6 da Sanminiato nella stessa direzione; 18 miglia a ostro di Pistoja per il giogo di Mont'Albano, e 15 miglia a libeccio della città di Prato.

Questa popolatissima terra, che lo storico Guicciardini chiamava il granajo della Repubblica fiorentina, nel secolo XI non era che una piccola col foro davanti alla sua pieve.

Non restano memorie di Empoli che possano dirsi più antiche del secolo VIII.

Il luogo di una delle sue chiese succursali (S. Michele a Empoli vecchio) è il primo che si legga fra le carte superstiti del medio evo.

Intendo dire della fondazione della badia di S. Savino a Cerasiolo presso Pisa, dove tre fratelli di origine longobarda, sino dal 780, si riunirono per condurre vita monastica, dopo aver assegnato a quel cenobio il vasto loro patrimonio, situato nella Valle dell'Arno pisano, e in quella di sotto a Firenze.

Erano fra i luoghi di quest'ultima valle alcuni corti e chiese, fra le quali contavansi quelle di Petrojo , e di Empoli con la chiesa di S. Michele ivi situata; e ciò poco innanzi, che le corti di Pontorme, di Cortenuova, e di Fibbiana con varie altre chiese del Val d'Arno inferiore dipendessero dai conti Cadolingi, poi Upezzinghi di Pisa.

Vedere ABAZIA di S. SAVINO.

Io non dirò, se tali provenienze remotissime di giuspadronato, che avevano nel distretto Empolese cospicue famiglie pisane, derivar potesse quel piccolo censo che a lunghissimi intervalli si trova pagato alla cattedrale di Pisa, (fra gli anni 840 e 1012) da alcuni pievani della chiesa matrice di Empoli.

Né tampoco io potrei asserire, che da cotesto tributo immaginata fosse la leggenda da molti tenuta per vera: che il piviere, cioè, con tutto il distretto di Empoli, prima del secolo XI facesse parte della diocesi e del contado di Pisa.

Alla qual leggenda fece una condegna cornice l'apocrifo documento trovato dall'Ughelli nell'archivio Vaticano, da esso lui pubblicato nell'Italia Sacra, alla serie degli Arcivescovi di Pisa, e segnatamente sotto l'arcivescovo Uberto de'Rossi Lanfranchi, che si figura esserne stato l'autore.

Avvegnaché in quel foglio si vuol dare ad intendere, che, mentre Guidone di Travalda reggeva la chiesa pisana, nell'anno 1015 (ab incarnatione), la città di Pisa venisse distrutta dai Pagani; e che poco dopo, rimasta priva del suo pastore, quel clero invitasse il vescovo di Lucca a prenderne cura.

Il quale prelato in tale circostanza incorporò alla sua molte pievi della diocesi pisana: mentre facevano del canto loro quasi altrettanto i pontefici delle diocesi limitrofe di Volterra e di Firenze.

Giacché quella storiella soggiunse: “che dalla parte del distretto fiorentino i confini diocesani e del contado di Pisa arrivavano al termine di Pietrafitta, dove in una lapida, ivi ancora esistente, si legge questa iscrizione:
“Titus Flaminius et Titus Quintus Consules Pisae Milliario XXXII. Hic posuerunt fines suae civitatis.”

Quindi l'apocrifo rammenta fra le pievi del vescovo di Firenze state tolte alla chiesa pisana quella Emappoli, che con nome corrotto (dice lo scritto) oggi si nomina Empoli.

La qual pieve fu carpita al tempo di Gherardo vescovo fiorentino per opera di un Conte Guidone!!!

Tale e sì grande è l'ammasso di errori e d'inverosimiglianze che si manifesta di primo slancio in quella scrittura, da dover concludere col Lami e col Mattei, non esser quella opera di un arcivescovo pisano, o che Uberto, cui venne attribuita, scriveva ciò che di certo egli non sapeva.

Per ciò che riguarda l'iscrizione di Pietrafitta, luogo fra Empoli e Pontormo, stata poi in vario modo supplita e interpretata, ciascuno può riscontrarla più esattamente che in altre nell'opera del Targioni (Viaggi per la Toscana.T.IX).

La quale confronta con quella incisa nella pietra originale, attualmente esistente nel cortile del palazzo degli Antinori di Firenze, dove fu nel secolo XVIII dalla villa di Luciano trasportata.

Essa riducesi alle seguenti poche parole di bella forma e disposte nel modo che appresso:

T . QVIN .. TIVS . T . F FLAMININUS
C … S . PISAS .

N.B. Fra il QVIN e il TIVS . T . F . havvi nella colonna un'erosione che accenna la mancanza di due lettere.

Tale similmente si affaccia nel terzo rigo fra il C e l'S, come pure nel quarto dopo PISAS.

In tutto il restante della pietra non si presentano scabrosità, né indizj che possano far dubitare di alcuna sillaba, parola o numeri stati consunti.

A togliere di mezzo qualunque dubbio sulla supposta dipendenza di Empoli dalla diocesi di Pisa, all'epoca del vescovo Guidone degl'Upezzinghi di Travalda, gioverà ricordare due strumenti della cattedrale Fiorentina.

Col primo dei quali il S. Vescovo Podio, nel febbrajo dell'anno 996, diede a livello delle terre spettanti alla sua mensa poste in Empoli; e col secondo, nell'anno 1013, Ildebrando vescovo di Firenze assegnò in dote al monastero di S.Miniato al Monte, tra le altre rendite, la sua corte di Empoli nel piviere di S. Andrea. (LAMI Mon. Eccl. Flor. T. I.)

Commenché fra le scritture pubbliche quella dell'anno 780, poco sopra rammentata, sia la più antica delle superstiti, dove si faccia menzione di Empoli, non è per questo da dire che la contrada, denominata in seguito Empoli vecchio, non esistesse da molto tempo innanzi.

Stà a favore di tale congettura la corografica posizione di Empoli, che Cluverio opinava potesse corrispondere al Portus ad Arnum, cioè, alla terza stazione dell'antica strada municipale da Pisa a Firenze.

Lo fa credere il distintivo che nel secolo XIII portava la chiesa di S. Michelangelo a Empoli, detto vecchio sino dall'anno 1258, siccome tale l'appellò il pontefice Alessandro IV nella bolla spedita al pievano e canonici di Empoli.

Lo danno a conoscere gli avanzi di romani edifizj consistenti in colonne, capitelli, e impiantiti di mosaico in varie epoche, e perfino nel principio del secolo attuale, scavati sotto i fondamenti delle stesse mura castellane di Empoli: indizj manifesti di un preesistente paese e del grande rialzamento di suolo in quella valle accaduto a cagione delle colmate dell' Orme e dell'Arno.

Finalmente lo dimostrano le otto grandi lastre di marmo fengite, cavate nel secolo XI dai ruderi di qualche tempio assai più vetusto per incrostare la facciata di fini marmi della collegiata di Empoli, chiesa fra le più antiche della Toscana; sebbene sia stata in gran parte nell'esterno e totalmente nell'interno restaurata.

Essa fu compiuta nell'anno 1093 per le cure del pievano Rodolfo e di quattro confratelli sacerdoti, cioè, Bonizone, Anselmo, Rolando e Gerardo, nominati nei versi leonini incisi nell'attico della sua facciata.

Non molto tempo dopo succedè al governo della pieve d'Empoli il prete Rolando, uno dei quattro canonici prenominati; siccome lo danno a conoscere diversi documenti, uno dei quali rogato nel 1106 nel battistero di S. Giovanni Battista d'Empoli, che si dice situato nella Judicaria Florentina.

Assai più importante per la storia di Empoli comparisce una pubblica dichiarazione del di 10 dicembre 1119, fatta a Rolando, custode e proposto della pieve di Empoli, dalla contessa Emilia moglie del Conte Guido Guerra signore di Empoli.

La quale contessa Emilia, stando in Pistoja, col consenso del marito promise e giurò tutto ciò che era stato promesso e giurato in Empoli dal conte Guido Guerra di lei consorte; cioè “che, da quell'ora sino alle calende di maggio avvenire, i due conjugi avrebbero obbligato gli uomini del distretto di Empoli, sia che abitassero alla spicciolata, o che stassero riuniti nei castelli, borghi e ville dell'Empolese contrada, compresi quelli del luogo di Cittadella (fra Empoli vecchio e Empoli nuovo), affinché essi stabilissero il loro domicilio intorno alla chiesa matrice di S. Andrea di Empoli, donando per tal'effetto a tutte le famiglie un pezzo di terra, o casalino, sufficiente a costruirvi le abitazioni, e il luogo per erigere il nuovo castello.

Inoltre i prelodati dinasti promisero di difendere le nuove case con gli effetti donati; in guisa che, se fosse mai in vita loro accaduto il caso che, o per cagione di guerre, o per violenza dei ministri dei Re d'Italia, o in qualsiasi altro modo, le nuove abitazioni di Empoli fossero state dalla forza abbattute, i due conjugi Guidi si obbligavano di rifarle a loro spese.”

Faceva parte di questa stessa promessa, a favore di Rolando e dei suoi successori, la difesa di tutti i possessi mobili ed immobili spettanti alla pieve d’Empoli, e a 15 chiese delle 30 succursali esistenti allora sotto la giurisdizione di quel pievano.

Inoltre fu detto e giurato dai conjugi feudatarj: ch'essi giammai avrebbero ordinato, né ad altri dato licenza di edificare alcun altra cappella, badia, monastero, o cella monastica nel distretto di Empoli senza il consenso del pievano pro tempore.

Una promessa simile a quest'ultima era stata fatta due anni prima allo stesso pievano dal vescovo fiorentino Gottifredo de'Conti di Capraja, di Pontorme e di Cortenuova, con bolla spedita da Capalle li 12 agosto 1117.
(LAMI. Mon. Eccl. Flor. T. IV.)

Se a cotesto documento si aggiunga l'epiteto di vecchio dato dopo quell'epoca alla contrada delle cure soppresse di S.Lorenzo, S. Donato, S. Mamante e S. Michele, tutte di Empoli vecchio, circa un miglio a ponente dal paese attuale, chi non troverà nel sopra esposto documento gl'incunabuli meno che equivoci della Terra più popolata della Toscana?

Dissi 15 delle 30 chiese al secolo XII dipendenti dalla plebana d'Empoli, essendochè 30 appunto erano quelle designate nelle bolle che i pontefici
Niccolò II (anno 1059, 11 dicembre)
Celestino III (anno 1192, 27 maggio) e
Alessandro IV (anno 1258, 3 luglio)
confermarono ai pievani di Empoli.

Erano della battesimale in questione le seguenti succursali:
S. Donnino, fra Empoli nuovo e vecchio, (annessa al capitolo d'Empoli nel 1473);
2. S.Lorenzo a Empoli vecchio, (non si conoscono le sue vestigia);
3. S. Lucia in Cittadella (esistita fra Empoli e Ripa);
4. S. Maria in Castello, (esistente sotto nome di Ripa);
5. S. Donato a Empoli vecchio, (annesso a S. Maria a Ripa);
6. S. Mamante a Empoli vecchio, (annesso nel 1442 alla seguente);
7. S. Michele a Empoli vecchio, (aggregato nel 1787 a S. Maria a Ripa);
8. S. Stefano a Cassiana , (da lungo tempo distrutta);
9. S. Cristofano a Strada, (unita a Corte Nuova );
10. S. Jacopo d'Avane, esistente;
11. S. Pietro presso il fiume Arno, ora detto a Riottoli, esistente;
12. S. Martino a Vitiana (unita alla seguente nel 1783);
13. S. Cristina a Pagnana canina , esistente;
14. S. Leonardo a Cerbajola, esistente;
15. SS. Simone e Giuda a Corniola, esistente;
16. S. Ippolito e Cassiano a Valle oltr'Arno (annessa nel 1459 a S. Maria a Petrojo);
17. S. Giusto a Petrojo (cappella unita nel 1754 alla pieve d'Empoli);
18. S. Ruffino in Padule, (da gran tempo distrutta, presso la clausura della chiesa di S. Giovanni Ba ttista de’Cappuccini);
19. S. Jacopo a Bagnolo, (annessa a S. Donato in Val di Botte);
20. S. Frediano in Val di Botte, (presso la villa del Cotone, da lungo tempo unita alla seguente);
21. S. Donato in Val di Botte, esistente;
22. S. Maria a Fibbiana, esistente;
23. S. Michele a Lignano (annesso a S. Donato in Val di Botte);
24. S. Maria a Corte Nuova, esistente;
25. S. Martino a Pontorme , idem;
26. S. Michele nel Castello di Pontorme , idem;
27. S. Ponziano a Patrignone (cappellanìa curata nella stessa parrocchia della pieve d’Empoli);
28. S. Maria a Pagnana mina oltr'Arno, altrimenti detta a Spicchio , esistente;
29. S. Bartolommeo a Sovigliana oltr'Arno, esistente;
30. S. Maria a Petrojo oltr'Arno, esistente.

Tali sono i nomi e i luoghi delle antiche cappelle succursali d'Empoli, attualmente riunite in 15 parrocchie.

Sennonché, nell'anno 1786, fu eretta una nuova cura sotto l'invocazione de'SS. Michele e Leopoldo alla Tinaja , staccata in parte dal popolo di Corte Nuova , e per il restante dalla parrocchia di Limite, in quanto alla porzione della popolazione che quest'ultima aveva sulla sinistra ripa dell'Arno.

Nel 1473 il pontefice Sisto IV ordinò l'esame e approvazione dei nuovi statuti e costituzioni del capitolo di S. Andrea d'Empoli; al quale capitolo l'arcivescovo di Firenze Rinaldo Orsini, con bolla spedita dal suo palazzo di Roma li 7 dicembre dell'anno 1498, concesse privilegio che fu poco dopo confermato dal pontefice Alessandro VI.

In quelle due bolle venne compartito alla chiesa di S. Andrea di Empoli l'onorifico epiteto d'insigne fra tutte le collegiate della fiorentina, e di altre circonvicine diocesi; e pochi anni appresso (22 febbrajo 1531) fu quel pievano dal pontefice Clemente VII decorato del titolo di preposto, cui venne nel tempo stesso accordato l'uso del roccetto e della mozzetta paonazza.

Ma ripigliando il corso delle vicende istoriche di Empoli è da sapere, che la stessa facciata della chiesa plebana, ora collegiata, fu presa per sigillo e divisa dalla sua Comunità, e che tale ancora si conserva da tempo assai remoto.

Fu nel 1182, in quell'anno di carestia, che valse lo stajo di grano soldi otto, quando il Comune di Firenze intento a tenere in freno e togliere di mano ai conti e ad altri baroni le rocche e castella, dalle quali essi angariavano vassalli e passeggeri, e da dove facevano alle strade orribil guerra , fu allora, che la Repubblica di Firenze costrinse gli uomini di Empoli a prestare ubbidienza e ad esser fedeli alla capitale.

Con tale atto rogato nel palazzo pubblico a Firenze, nel 3 febbrajo 1182, stile comune, gli abitanti di Empoli si obbligarono di seguire la volontà della Repubblica fiorentina in ogni guerra, eccetto contro gli antichi loro padroni i conti Guidi; e di pagare un tributo annuo di lire 50, oltre l'offerta nel giorno di S. Giovanni Battista di un cero maggiore di quello che erano già soliti di offrire gli uomini di Pontorme, in tempo che essi erano vassalli del conte Guido Borgognone di Capraja, ch'era pure il signore di Corte Nuova.

Vedere CORTE NUOVA.

Aggiungasi che, a forma di uno dei capitoli del trattato fra i Fiorentini e i Lucchesi del dì 21 luglio 1184, il Comune di Lucca si obbligò a non dar ajuto veruno ai nobili di contado, né a chicchessia, perché non fabbricassero alcun castello nella diocesi e contado fiorentino, e nominatamente dal fiume Elsa a Firenze; e che dentro quei confini i Lucchesi non potessero fare alcun'altro acquisto.
(AMMIRAT. Istor. Fior. Lib. I).

Il progressivo ingrandimento della Repubblica fiorentina non fece stare oziosi, né impauriti i conti e gli altri magnati di contado.

Più di ogni altro si maneggiò il conte Guido Guerra II di Modigliana, il quale trovandosi al servigio di Federigo I, mentre questo re d'Italia, nel luglio del 1185, passava di Toscana, ed ebbe alloggio in Firenze, gl'insinuò a voler rintuzzare cotanta alterigia de’Fiorentini, acciò che impartissero in seguito a ubbidire e non a contrastare agl'imperatori; e essere ora il tempo opportuno innanzi che quella Repubblica prenda più forza.

Non il gran fuoco, al quale ciascuno pon mente, ma la piccola favilla mal custodita esser quella che arde la casa.

Perciocché, se all'acutezza degl'ingegni i Fiorentini aggiungevano la potenza, oltre le antiche aderenze ai Pontefici romani, indarno si potrebbe poi sperare giammai da alcuno imperatore o re di poter metter piede in Toscana.

Le quali cose, come in gran parte pareva che fossero vere, così mossono a grandissima indegnazione il Barbarossa, a tale che da esso fu decretato si togliesse al Comune di Firenze il dominio di tutto il contado infino alle mura, privandolo d'ogni giurisdizione che sopra di esso in qualunque modo acquistato s'avesse.
(AMMIRAT. Istor. Fior. lib. cit.)

Poco tempo per altro durò in questo stato umiliante la città di Firenze, stanché ad essa, nell'anno 1188, fu reso il contado, il quale estendevasi a quel tempo insino alle dieci miglia dalle mura della città.

Sennonché, nel 1288, i Fiorentini avendo in loro potere molte castella, state tolte alla signoria dei vicini conti e cattani, ripigliarono l'antico pensiero di ampliare, ordinare e stabilire con legame maggiore di quello della forza le cose del contado, costituendosi in domini, e facendo giurare fedeltà come sudditi di Firenze ai vassalli dei già vinti, avviliti, o espulsi baroni della Toscana.

Frattanto consideravano i Fiorentini, quanto importasse alla loro politica libertà di togliere di mano ai conti e cattani rurali i castelli e le rocche poste in situazioni atte ad impedire agli eserciti il passaggio; motivo per cui essi obbligarono i conti di Capraja e di Pontorme a ricevere i soldati della Repubblica nei loro forti; i conti Alberti di Certaldo ad abbandonare alla volontà del più forte Pogna e Semifonte; i cattani di Barberino a fare lo stesso per la rocca di Combiate, e la consorteria dei conti Guidi a cedere un maggior numero di castella.

I quali dinasti conoscendo finalmente come, a voler conciliarsi il favore di una potente Repubblica, era meglio cedere per amore ciò che gli sarebbe stato d'uopo di abbandonare per forza, risolvettero di rinunziare ai loro diritti sopra molte terre e villaggi del crescente contado della Repubblica fiorentina; cui infatti per contratto pubblico, i quattro figli nipoti del Conte Guido Guerra II di Modigliana (ora gli uni ora gli altri) alienarono la loro quarta parte con ogni ragione e giuspadronato che aver potevano in Empoli, sulle chiese e sui beni di quel piviere.

Il primo contratto di tale vendita fu rogato in Empoli li 6 maggio dell'anno 1255 nel palazzo vecchio de'conti Guidi presso la pieve d'Empoli.

Con esso il conte Guido Guerra giuniore figlio del fu conte Marcovaldo di Dovadola, rappresentato da Guglielmo Bertaldi morto poi gloriosamente alla battagli di Campaldino, vendè per lire 9700 al Comune di Firenze la sua parte del palazzo vecchio d'Empoli situato nella piazza del mercatale col palazzo nuovo; la porzione del padronato nella pieve di Empoli, dello spedale di S. Giovanni di Cerbajola, l'intiero padronato delle chiese di S. Martino a Vitiana , di S. Lorenzo, di S. Donato e di S. Mamante a Empoli vecchio con ogni dipendenza feudale; come pure tutti i fedeli ivi distintamente nominati, oltre l'alienazione di molti altri luoghi che per essere fuori del distretto di Empoli non starò qui a rammentare.

Vedere CERRETO GUIDI, VINCI, MONTEVARCHI e MONTEMURLO.

Il simile fu fatto per la loro quarta parte dal conte Guido di Romena, figlio del fu Conte Aghinolfo sotto il giorno
10 di settembre per la somma di lire 9000; e contemporaneamente dai due fratelli conti Guido Novello e Simone figli del conte Guido di Modigliana del fu conte Guido Guerra II, ai quali la Repubblica fiorentina si obbligò pagare lire diecimila.

Finalmente l'ultima quarta parte del distretto Empolese, come anche quella di Vinci, di Cerreto Guidi, di Collegonzi, ec.. fu alienata con rogito del dì 3 agosto 1273 dal conte Guido Salvatico figlio del conte Ruggieri di Dovadola per il prezzo di lire ottomila.

Tutte le quali somme i Reggitori della Repubblica fiorentina con partito del consiglio generale divisero fra le rispettive popolazioni e castelli venduti, accordando a quei popoli facoltà di rivalersene nell'imposizione prediale, ossia della Lira . (P. ILDEFONSO. Deliz. degli Erud. Toscani. T. VIII.)

Non erano scorsi ancora sei anni dacché fu concluso in Empoli (nel dì primo di febbrajo 1255, stile comune) un trattato di pace fra i Comuni di Firenze, di Lucca e di Prato da una parte, e quello di Pistoja dall'altra, quando i capi Ghibellini reduci dalla battaglia di Monte Aperto scelsero Empoli, come luogo più centrale, per tenervi la famosa dieta, nella quale si progettò di disfare la città di Firenze, e costruirne una nuova in Empoli.

Lo che sarebbe forse avvenuto senza l'insistente opposizione di Farinata degli Uberti.

Imperrocché egli solo fu quello che contro l'opinione concorde dei primi: capi delle città di Firenze, Pisa, Siena, Arezzo, e Pistoja, de'conti, signori e baroni della Toscana intervenuti a quel memorabile parlamento, egli solo con indegnazione d'animo si oppose a far fronte a cotanta scellerata proposta, perché la vittoria dell'Arbia non producesse un frutto sì funesto da esser la rovina della patria sua.

Un altro parlamento ebbe luogo nella pieve d'Empoli, nell'anno 1295, dopo la cacciata da Firenze di Giano della Bella, per trattare di una lega Guelfa contro i nemici della Chiesa, cioè contro i Ghibellini.

La quale lega fu conclusa per un decennio, a comiciare dal primo di giugno di quell'anno, fra i Comuni di Firenze, di Lucca, di Siena, di Prato, di S. Gimignano e di Colle, lasciando luogo a Pistoja e agli altri Comuni di parte Guelfa della Toscana.

Molte altre volte la Terra di Empoli fu destinata per la sua centralità, come il muogo più opportuno, per i congressi politici, sia, allorché nel 1297, e di nuovo nel 1304, si riconfermò alla lega Guelfa della Toscana; sia quando nel
1312 il governo di Firenze, aspettandosi alle mura della città l'esercito di Arrigo VII, con gli ambasciatori di Lucca, di Siena, di Bologna, di altre città e terre di parte Guelfa, per mezzo di ambasciatori riuniti nella pieve d'Empoli concluse alleanza e discusse il modo di resister a quell'imperante.

Non si può con dati certi asseverare, se la costruzione delle prime mura castellane di Empoli risalga al secolo XII, siccome lo danno a congetturare le espressioni del documento del 1119 di sopra accennato, quando i conijgi Conti Guidi concessero agli uomini del piviere d'Empoli terreno sufficiente a fabbricare intorno alla pieve il loro domicilio e tanto luogo per difendere il paese di Empoli nuovo mediante un castello.

Si può bensì con qualche ragionevolezza arguire, che le prime mura castellane di Empoli non fossero di una grande solidità tosto che non si ritrovarono i suoi fondamenti più profondi di due braccia sotto il piano attuale, che è da quell'epoca molto più elevato; o tosto che quelle mura non furono atte a resistere all'impeto della piena dell'Arno accaduta nel 1333, per cui restarono in gran parte atterrate.
(GIOVANNI VILLANI. Cronic. Lib. XI. C. I.)

Tale sventura fu apprezzata dalla Repubblica fiorentina, la quale con sua deliberazione del 1336, poco dopo l'escursione ostile fatta sul territorio Empolese dal fuoriuscito Ciupo degli Scolari capitano di Mastino della Scala, provvide al rifacimento delle mura di Empoli e di Pontorme, concedendo a quei popoli, per sostenere le spese, alcune temporanee franchigie ed esenzioni da dai pubblici aggravj.

Si potrebbe credere, che una tal provvisione pel rifacimento delle mura di Empoli volesse riferire solamente a riparare la porzione danneggiata dal diluvio del 1333, mentre si conta un epoca più recente della edificazione del secondo cerchio delle stesse mura, cominciando dal 1479, epoca che trovasi registrata in un atto del magistrato degli Otto, e proseguita nel 1487, siccome apparisce dall'iscrizione sopra la Porta Pisana, comecché tale costruzione continuasse anche qualche anno dopo.

Il cerchio delle antiche mura di Empoli, sebbene alquanto più ristretto di giro, era come quello attuale di figura quasi rettangolare, munito a intervalli di torri, con 4 porte, nel modo che lo da a conoscere fra le superstiti, una delle porte posta a ponente presso quella pisana e una di quelle torri situata nell'angolo fra ostro e levante presso l'attuale spedale, già l'antica fortezza.

Fu quest'ultima opera di Cosimo I, per ord ine del quale la Terra di Empoli venne circondata di nuovi ripari, di argini e baluardi e risarcito il secondo cerchio delle sue mura.

Da questo i coraggiosi Empolesi avrebbero saputo meglio affrontare e respingere le truppe Teutonico-Ispano-Papali, che dall'assedio di Firenze Alessandro Vitelli e D. Diego Sarmiento nel maggio del 1530 condussero ad assalire la loro patria, se fosse stata minore la dappocaggine di Piero Orlandini e di Andrea Giugni, lasciati dal bravo Ferrucci alla guardia di Empoli contro gli assalitori.

Di un tale avvenimento, che a confessione dello storico Segni in gran parte dette perduta la guerra ai Fiorentini, Empoli conserva la memoria sulle mura di un bastione dalla parte dell'Arno, che ha tuttora le impronte delle palle dell'artiglieria del generale spagnolo Sarmiento.
(Relazione di un ANONIMO EMPOLESE contemporaneo presso il LAMI. Hodoepor.)

Ai tristi effetti della guerra e del sacco si aggiunge altra non meno grave calamità che fece grandissima strage in quest'istesso anno 1530 nella campagna e dentro la Terra di Empoli, cioè, la peste; alla quale per colmo di misura venne ben tosto dietro una terribile carestia.

L'assedio e presa di Empoli può riguardarsi come l'ultimo avvenimento storico di questa Terra, se non si volesse tener conto di una macchinazione segreta tenuta durante la guerra di Siena dai nemici del governo Mediceo per consegnare Empoli ai Francesi, pagata col taglio della testa da Gherardo Adimari, e da Taddeo da Castiglione.

Stabilimenti destinati al culto.

Qualora si contempla Empoli sotto l'aspetto dei suoi edifizj sacri e profani, di beneficenza, d'istruzione e di pubblica comodità non deve sorprendere, se alcuni autori di geografie universali supposero questa Terra una piccola città, comecché dovria recare maraviglia di leggere in un'opera di geografia tradotta a'tempi nostri in Italia, Empoli designata città, e sede vescovile.

Fra i sacri tempj il più ragguardevole per tutti i rapporti è la chiesa collegiata, la di cui esterna facciata conserva in gran parte la forma che gli fu data nel 1093.

Fu essa restaurata e nella attual forma internamente ridotta nel 1738, cioè un secolo dopo che fu fatto il coro, e pochi anni prima che restasse coperta (nel 1763) la soffitta.

Contiguo alla collegiata è l'antico battistero di S. Giovan Battista con due tavole rappresentanti i SS. Giovanni e Andrea contitolari della primitiva pieve di Empoli.

Le storie del martirio di S. Andrea dipinte nei gradini dell'altare sono attribuite al Ghirlandajo, mentre il fonte battesimale di marmo bianco è dell'anno 1447.

Tre pezzi di eccellente scultura si trovano nella stessa collegiata, cioè, una statua di S. Sebastiano del Rossellino, un basso rilievo rappresentante la Madonna, che si dice di Mino da Fiesole, e il tripode, che sostiene la pila dell'acquasanta a mano sinistra del maggiore ingresso, col nome del famoso Donatello di Firenze.

Fra le opere di pittura sono da rammentarsi un affresco rappresentante S. Lucia alla sua cappella, opera di Giotto, che si crede anche l'autore di alcuni quadretti situati nell'altare della compagnia di S. Andrea; un S. Tommaso d'Jacopo da Empoli; il Cenacolo del Cigoli nella compagnia del Corpus Domini; e una tela che rappresenta la visione di S. Giovanni Evangelista opera del Ligozzi nel 1622.

Seconda per antichità e ampiezza ci si offre la chiesa di S. Stefano, che fu dei frati Eremitani di S. Agostino.

 
 
 
 



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