Gino Mignolli, Parrocchia di S. Stefano a Calcinaia
Sull’ameno e delizioso colle, che serve di scarpa all’alto monte di S. Romolo, vicino al Castello della Lastra a Signa, nella costa che guarda S. Martino a Gangalandi, sta eretto il devoto tempio della Parrocchia di S. Stefano a Calcinaia, da cui vedonsi con indicibile giocondità le molte e vaghe particolarità di quei circostanti paesi e il bello svariato di quelle fertile campagne.
Da qui risuona grato in primavera il dilettevole canto dell’usignolo e si fa sentire mormorante il corso delle acque cristalline che, per il tortuoso Rimaggio volgono all’Arno.
A me fu concesso nella sudetta stagione, di godere in un bel soggiorno le consolanti delizie di quel ricreante prospetto.
Da qui pure nella sera del 24 maggio 1872 ad un cielo azzurro e tutto sereno mentre lo squillo dei sacri bronzi delle torri di S. Martino a Gangalandi, della Beata a Signa e delle altre prossime Parrocchie, dava all’ave in quell’amena campagna con i suoi armoniosi doppi gli avvisi festivi alla devota gente di quei fortunati paesi, ad onore e gloria della celeste Regina salutata dal messaggiere Gabbriele nell’umile cella di Nazaret, io mi sentii allora da quel suono addolcito dall’eco dell’Arno, grandemente esilarato nell’anima.
Osservando poi in altra occasione nell’autunno la campagna di Calcinaia vidi con indicibile diletto i belli oliveti sulle verdeggianti chiome, a maraviglia di olive gremiti e le simmetriche vigne piegare a terra i pampanosi tralci per gli spessi grappoli di dolce uva, ed i vari frutteti, carichi di molti e deliziosi pomi, trasparire sui rami d’un colore aureo e vermiglio; però fui allora come costretto da quella deliziante veduta ad esclamare:
“Oh Bella e deliziosa Calcinaia quanto sono ricche e dilettevoli le tue belle colline!
Quanto siei cara in te stessa e nelle tue ville!....”
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Questa ampollosa forma aulica è compatibile per il Pini, invecchiato in quel di San Donato a Livizzano, all’estremità dell’angusta Val di Pesa, che il Repetti, nella sua mastodontica enciclopedia della Toscana del 1855, liquida in due righi: piccolo casale con chiesa parrocchiale su una piaggia cretosa tra i torrenti Virginio e Turbone…
Ricordo melanconicamente che purtroppo da alcuni anni, i Re Magi non arrivano più a Calcinaia nell’acconcio tabernacolo a nicchia di lato alla Chiesa, dove da sempre un semplice presepe già dall’Avvento ci annunciava il Natale.
Insieme agli altri tradizionali personaggi hanno preso differenti strade, indicate, penso, da un ospite assai immemore.
Turbato nel rilevare la colombaia della grande canonica ridotta a cabina elettrica, oramai rinfrescato, riprendo il viaggio.
L’amarezza presto scompare per la vista dell’adiacente seicentesco Oratorio della Compagnia Laicale della Visitazione e Rosario, aggraziato da un elegante portico sorretto da esili colonnini in pietra d’ordine toscano, purtroppo in pessimo stato.
Ammirandolo da vicino, apprezzo la perfetta muratura in pietra di inimmaginabile perizia, con precise e uniformi commettiture benché l’impiego di piccole bozze di filaretto e arenaria, non squadrate in opera incerta, e frammenti di mattoni, invero materiali di scarto.
Alcuna pietra maestra e neanche qualche concio nei cantoni; mi viene da pensare che questo edificio sia stato innalzato da volenterosi mastri calcinaioli, famosi per la pessima nomea e l'edile maestria , stavolta particolarmente ispirati per una siffatta opera espiatrice in una miscellanea marrone e con un’orditura precisa come un damascato di buona fattura.
Rimuginando sull’odierna esistenza di simili muratori così capaci, mi ritrovo davanti alla “scuolina” di Calcinaia.
Dismessa da tempo è ancor più cadente di quando vi accompagnavo per mano Raffaella e Roberta, le mie due bambine.
Che nostalgia ricordarle nei loro colorati grembiuli a quadretti, leste a staccarsi per correre incontro alla maestra salutandola, con un abbraccio fin troppo slanciato per uno geloso come me!
Impossibile è oggi concepire che per uno zinale e la reviviscenza di queste scene si rischi il blocco dell’Italia.
Mala tempora currunt…
Rallento all’imbocco dello stradello del cimitero proprio sopra la scuola, ma non scendo al piccolo Camposanto rivolto ai frati, cinto da secolari ulivi dove alcuno oggi vi trova riposo.
Solo un tenero ricordo ai miei suoceri, anche loro strappati da questa pace celeste, che serenamente avevano scelto pur lontano dalla loro terrena dimora.
Il bell’affaccio sulla vallata è sfregiato da un arrugginito traliccio elettrico, abbasso lo sguardo e, incurvato a piccoli passi, riaffronto l’erta.
Le prime case del borgo fanno apparire ancor più stretta la carreggiata.
Lo spaccato di Traccoleria, con la snella passerella ad arco, incornicia Firenze.
Poco assaporo questa veduta, impaziente voglio raggiungere l’oramai prossima piazza De Gubernatis.
Eccomi in salotto!... Riprendo fiato.
Appoggiato al vecchio pozzo nella corte laterale, mi godo la peculiarità di questo spiazzo su cui prospetta un importante gentilizio oratorio, sfortunatamente con il portale in pietra serena assai eroso.
Faccio svanire, senza troppo sforzo, auto, tettoie, tralicci e l’antenna televisiva sul torrino che sovrasta l’antica e effigiata banderuola segnavento.
Così riesco finalmente a pregiarmi dell’armonia di questa piazza, intima e raccolta, una vera agorà, non soffocata dal palazzo del famoso conte torinese cui doverosamente è intitolata grazie ai sottostanti terrazzamenti, contornati dai cipressi.
A tramontana il muraglione di riparo è ingentilito da merli, armonizzati con quelli di foggia ghibellina della torre cui si attesta, dirimpetto agli intonati edifici che la delimitano, eterogenei nelle forme e scompigliati da altane e verande, classica quella dell’appalto.
Questo mio apprezzamento è influenzato sicuramente dalla figura di Angelo De Gubernatis.
L’insigne letterato, lasciati i gentilizi palazzi, nella seconda metà dell’Ottocento, si stabilì a Calcinaia ristrutturando vecchie case dei Pandolfini, per ricavare un confortevole palazzotto, incurante della mala accoglienza riservatagli, a riprova della non specchiata rinomanza di questo popolo che, tradizione recita, venga battezzato con l’acqua delle rape!
Grazie al suo animo liberale e spirito anarcoide, fu intimo amico di Bakunin, alla fine, seppe calarsi in questo contesto integrandosi poco a poco.
Fondò una scuola per i bambini, carpendo ben presto la loro fiducia ed in seguito anche quella degli zotici genitori, istituendo la Società dell’Unione – Istruzione e Lavoro dove insegnava quelle nozioni scolastiche all’epoca riservate solamente a pochi.
Durante i coinvolgimenti per educare questi campagnoli a un consono comportamento sociale apprese leggende, cantate, favole, superstizioni, facezie ed altro ancora, indispensabili fondamenti per le future sue opere demologiche, che lo resero ancor più famoso.
Non mi è dato conoscere la sua figura, bramerei tanto che simulasse quella dello charmeur anarchico Bakunin, l’amico a lungo ospitato a Calcinaia per la cui stazza, l’incolta barba, e non pochi ideali condivisi, mi possa sentire affine, ben s’intende soltanto fisicamente!
Col lento respiro la riapparizione delle insegne, dei cartelli stradali e delle auto con i loro stridori, mi istigano al ricordo di Giovannino, Calcinaiolo purosangue, così amava definirsi, e dei suoi racconti sugli avvenimenti che questa piazza ha vissuto, unico centro del borgo che, come un grande salotto, ha ospitato adunanze, sagre, comizi, fiere, lunghe tavolate, balli e l’incendio del carnevale, che perciò merita una parola in più…
Fino alla metà del secolo scorso, il mercoledì delle ceneri, i ragazzi accatastavano nel centro della piazza tantissime fascine secche, offerte ben volentieri dai contadini, fino a formare una pira simile a un pagliaio che veniva accesa all’imbrunire.
Sfumate le alte lingue di fuoco, i giovanotti saltavano sulle braci fiammeggianti per mostrare il proprio ardimento alla ragazze lì affacciate insieme alle loro mamme finché le matrone, rimosso il vivo carbone per riempire i bracieri e veggi, rientrando in casa, inducevano la gioventù a cercare altri calori!