Gino Mignolli, Lo schioppapalle 3/5
Incurante delle sfregature dell'ortica, allora per noi pruzzichina, e degli ispidi capolini dei cespi di bardana che infarcivano le siepi, cercavo un fusto diritto di sambuco, che stroncato avrei poi sezionato in corrispondenza degli anelli e svuotato della tenera anima.
Ancor più impegnativa era la ricerca di un ramo d'alloro perfettamente diritto che, sgusciato e levigato con un liso pezzo di carta vetrata avuta dal buon Squarcini, l'impagliatore di sedie sotto casa, che mai lesinava con la sua accetta la risagomatura del cirulì, doveva combaciare perfettamente con l'interno della canna di sambuco, come un antico battipalle, dalla cui storpiatura etimologica l'intuibile nomignolo.
Intasato il vertice con un idoneo frutto dell'alloro, estratta l'asta e appoggiata alla vita tiravo con la massima veemenza lo schioppapalle, a mo' di stantuffo per creare quella pressione che sparava il verde proiettile verso il bersaglio prescelto, solitamente lucertole.
Rinvenuti nella correntina sottili e rotondi sassi, quando il sole scivolava nella sella tra il Poggio di Artimino e la Gonfolina, e inquadrava come un potentissimo teatrale occhio di bue la Piana del Londo, levigando la già immobile acqua, lanciavamo i sassi raccolti a pelo superficie verso questo immenso verde specchio, impegnandoci a raggiungere il maggior numero di sobbalzi, anche oltre una dozzina, generando altrettanti cerchi che si dilatavano incrociandosi tra loro in simmetrici giochi d'acqua, fino a svanire in lontananza.
Soltanto all'imbrunire, sotto un cielo già indaco, l'ultimo bagno, attento al ricorrente grido di sapone, sapone di qualche bagnante maldestro, gareggiando con gli amici per il recupero, finché un energico richiamo di mio fratello metteva fine al rinfrescante gioco.
Poi tornavo mogio a casa, invidiando gli amici che si fermavano con la famiglia a cena e pregustavo il loro cocomero tenuto al fresco per l'intero pomeriggio in una pozza ombrosa..
Alle nostre spalle i radenti e ancor roventi raggi del sole infiammavano l'occaso versante del Montalbano, sprigionando rossastri bagliori in uno sfavillante fondale su cui spiccavano nel verde crinale svettanti cipressi in nitida filigrana.
La veemente espansione edilizia che fin dall'inizio si combinò con il memorabile boom di quegli anni '50 reclamava sempre più sabbia e ghiaia.
Altre draghe vennero installate lungo il fiume; la correntina presto fu inghiottita: sparirono i capanni e gli impalcati per la pesca; l'intera Piana del Londo fu devastata da ruspe, che indiscriminatamente sconvolsero l'intera golena.
Anche l'Albereta scomparve, costringendo i giocatori di toppa in retrobotteghe compiacenti, dove puntualmente sarebbero rimasti prima o poi intrappolati dalla retata dei Carabinieri, colà sospinti non a caso dalle mogli di quelli più incalliti e canzonati per di più , all'indomani dai compaesani, che ironizzando gli chiedevano se erano passati dal paretaio!
Oltretutto queste nuove edificazioni scaricavano incontrollate in Arno liquami e veleni, sconvolgendone l'intero sistema faunistico.