Pucci, la famiglia
Cenni storici
Famiglia proveniente dal contado, di parte guelfa, il cui cognome primitivo secondo alcuni storici, sarebbe stato Saracini.
A Firenze daranno 23 priori e 8 confalonieri di giustizia.
Consolidarono la loro fortuna con la famiglia Medici; Puccio de’ Pucci fu tra i fedelissimi e più autorevoli alleati di questa casata, tanto che inizialmente il partito mediceo si chiamò dei “puccini”.
Uno Jacopo, detto Jacopuccio e abbreviato in Puccio, avrebbe dato il nome ad un ramo di questa famiglia.
Nel 1560 però un Pucci, Pandolfo, verrà impiccato da Cosimo I per aver tramato contro di lui.
In seguito anche uno dei suoi figli, nel tentativi di vendicare il padre, subirà l’identica sorte.
La famiglia fu esiliata e sottoposta alla confisca dei beni.
I PUCCI E LA VILLA DI BELLOSGUARDO - CRONOLOGIA
Nel 1541 Bellosguardo, allora casa colonica con annessi terreni agricoli, passò per via materna in eredità al giovane
Alessandro Pucci, figlio primogenito di Pandolfo Pucci, mentre la madre era figlia di Francesco Guicciardini.
Il colto Alessandro, divenuto Abate e amico del cardinale di Firenze Alessandro de’ Medici, riuscì con abilità a convincere Cosimo I a revocare le disposizioni sopra citate, rivendicando la storica fedeltà della famiglia ai Medici.
Farà costruire la villa di Bellosguardo tra il 1585 e il 1595.
L’architetto fu Giovanni Antonio Dosio, le pitture interne ed esterne realizzate da Bastiano Balducci detto il Cosci, le decorazioni da Sandro Laschi.
Di queste opere originarie non vi è più traccia essendo andate perdute nel XIX sec.
Grande rilevanza fu data al parco della villa, concepito quale “luogo dello spirito” e privilegiato nell’attenzione architettonica; gli arredi scultorei, animali in pietra serena di varia specie secondo la moda del tempo, furono di Romolo Ferruccio detto il Del Tadda.
L’artista ne aveva realizzati anche per il giardino di Boboli a Firenze.
Nel 1597 la villa fu legata ad un fidecommesso, obbligo cioè per l’erede di conservare i beni ereditati e di trasmetterli a una determinata persona.
La villa da Alessandro Pucci passò al fratello Roberto Pucci, poi ad un ramo collaterale della famiglia in quanto entrambi non lasciarono eredi, nella persona di Niccolò Pucci.
Dal 1614 al 1625 , egli trasforma la villa in fattoria con la costruzione di un nuovo edificio, aumenta i possessi terrieri, e dota il giardino di altre sculture di animali in pietra.
Ereditò oltre alla villa e terre limitrofe, anche le cave della Gonfolina e un osteria al porto di sotto, in comproprietà con la famiglia Pandolfini.
Giulio Pucci dal 1633 al 1672, acquista nuovi appezzamenti di terra, allargando la tenuta, ormai una fattoria che produce i prodotti tipici toscani.
Negli anni quaranta, vi è la costruzione del muro che univa la villa alla palazzina, e vengono comprate diverse sculture, tra cui due statue di leoni.
Il giardino non ha modifiche sostanziali, mentre furono effettuati dipinti per la villa andati perduti.
Orazio Ruberto Pucci figlio di Giulio, privilegerà l’aspetto ludico della tenuta di campagna su quello legato alla produzione agricola, modificando la villa e il giardino al gusto tardo-barocco che era di moda in quel periodo.
Gli arredi del parco vengono rinnovati con opere in pietraserena, interrate molteplici varietà di piante, e i viali allargati e resi percorribili in carrozza.
Si realizza anche l’orto nuovo o giardino degli agrumi.
Queste piante, la cui fama fu alimentata da scritti e leggende, erano di moda nel seicento, tanto che se ne ricercarono nuove varietà tramite innesti.
Intendendo poi costruire un sistema idraulico per fontane e vivai d’acqua con cui arredare la villa, oltre a ingrandire e trasformare il parco, si avvalse inizialmente dell’opera progettuale dell’ingegnere mediceo Giuliano Ciaccheri.
Per dare corpo a queste idee, finì poi coll’affidarsi all’architetto Giovanni Battista Foggini, i cui progetti furono realizzati solo in parte per la sopravvenuta morte di Orazio Ruberto nel 1698.
La successione , per vicende famigliari finirà con lo spettare al figlio terzogenito Orazio Emilio Pucci.
Egli porta a compimento i lavori per la grande scalinata sotto la Fontana del Tritone, iniziati dal padre; la villa in questo periodo è usata principalmente a scopi di “rappresentanza”.
Alla sua morte nel 1745, il patrimonio rimane indiviso tra i suoi figli fino al 1766, (ma furono assicurati adeguati interventi di salvaguardia sia alla villa che al parco) quando si pervenne ad una divisione dei beni agricoli e la fattoria di Bellosguardo passò al marchese Orazio Ruberto Pucci.
Omonimo del nonno, membro dell’Accademia dei Georgofili, coltivò molteplici interessi scientifici, segnalandosi tra coloro che contribuirono a formulare i principi di base delle riforme che Pietro Leopoldo di Lorena attuò in Toscana.
Sotto il suo impulso la fattoria sviluppò e razionalizzò la produzione, divenendo luogo in cui applicare e sperimentare nuove tecniche agricole.
Fu costruita inoltre una strada carrozzabile che portava a Bellosguardo, con lavori che si protrassero per oltre 20 anni e terminarono nel 1790.
Il miglioramento dei collegamenti viari era considerato elemento non secondario nella strategia di miglioramento dell’economia agricola.
Nel 1803, e fino al 1824, la villa passa al figlio di Ruberto, Emilio Pucci
Da questi ad un tutore, sempre un Pucci, per la minore età dei figli di Emilio, fino al 1836 quando subentra il primogenito
Ruberto Pucci.
Sarà l’ultimo esponente dei Pucci a possedere Bellosguardo.
In un momento economico non favorevole per la famiglia, e venuto meno il fidecommesso, abolito Da Leopoldo di Lorena, Bellosguardo è venduto nel 1858 al conte Giuseppe Campi.