Lastra a Signa, curiosità
Lastra, Villa delle Selve, 1° dicembre 1612 pag. 3/20
Quanto ad Apelle, a me ancora dispiace che e non abbia veduta la mia seconda lettera avanti la pubblicazione della sua Più Accurata Disquisizione, e che la mia ambiguità e pigrizia nello scrivere non abbia potuto tener dietro alla sua resoluzione e prontezza: ben è vero che buona causa della dilazione n'è stato l'esser trattenute le mie lettere più d'un mese in Venezia, dalla troppa stima che di esse fece l'Illustrissimo Sig. Gio. Francesco Sagredo, volendo che ne restasse copia in quella città, dove a me pareva d'essere a bastanza onorato da una semplice sua lettura; il che per la moltitudine delle figure ricercò assai tempo. Dispiacemi ancora della difficoltà che apporta ad Apelle l'aver io scritto nella nostra favella fiorentina; il che ho fatto per diversi rispetti, uno de i quali è il non volere in certo modo abusare la ricchezza e perfezion di tal lingua, bastevole a trattare e spiegar e' concetti di tutte le facoltadi; e però dalle nostre Accademie e da tutta la città vien gradito lo scrivere più in questo che in altro idioma.
Ma in oltre ci ho auto un altro mio particolar interesse, ed è il non privarmi delle risposte di V. S. in tal lingua, vedute da me e da gli amici miei con molto maggior diletto e meraviglia che se fossero scritte del più purgato stile latino; e parci, nel leggere lettere di locuzione tanto propria, che Firenze estenda i suoi confini, anzi il recinto delle sue mura, sino in Augusta.
Quello che V. S. mi scrive essergli intervenuto nel leggere il mio trattato Delle cose che stanno su l'acqua, cioè che quelli che da principio gli parvero paradossi, in ultimo gli riuscirono conclusioni vere e manifestamente dimostrate, sappia che è accaduto qua a molti, reputati per altri lor giudizii persone di gusto perfetto e saldo discorso. Restano solamente in contradizzione alcuni severi difensori di ogni minuzia peripatetica, li quali, per quel che io posso comprendere, educati e nutriti sin dalla prima infanzia de i lor studii in questa opinione, che il filosofare non sia né possa esser altro che un far gran pratica sopra i testi di Aristotele, sì che prontamente ed in gran numero si possino da diversi luoghi raccòrre ed accozzare per le prove di qualunque proposto problema, non vogliono mai sollevar gli occhi da quelle carte, quasi che questo gran libro del mondo non fosse scritto dalla natura per esser letto da altri che da Aristotele, e che gli occhi suoi avessero a vedere per tutta la sua posterità.
Questi, che si sottopongono a così strette leggi, mi fanno sovvenire di certi obblighi a i quali tal volta per ischerzo si astringono capricciosi pittori, di voler rappresentare un volto umano o altra figura con l'accozzamento ora de' soli strumenti dell'agricoltura, ora de' frutti solamente o de i fiori di questa o di quella stagione: le quali bizzarrie, sin che vengono proposte per ischerzo, son belle e piacevoli, e mostrano maggior perspicacità in questo artefice che in quello, secondo che egli averà saputo più acconciamente elegger ed applicar questa cosa o quella alla parte imitata; ma se alcuno, per aver forse consumati tutti i suoi studii in simil foggia di dipignere, volesse poi universalmente concludere, ogni altra maniera d'imitare esser imperfetta e biasimevole, certo che 'l Cigoli e gli altri pittori illustri si riderebbono di lui.
Di questi che mi son contrarii di opinione, alcuni hanno scritto ed altri stanno scrivendo; in pubblico non si è veduto sin ora altro che due scritture, una di Accademico Incognito, e l'altra di un lettor di lingua greca nello Studio di Pisa, ed amendue le invio con la presente a V. S. Gli amici miei son di parere, ed io da loro non discordo, che non comparendo opposizioni più salde, non sia bisogno di risponder altro; e stimano che per quietar questi che restano ancora inquieti, ogn'altra fatica sarebbe vana, non men che superflua per i già persuasi; ed io devo stimar le mie conclusioni vere e le ragioni valide, poi che, senza perder l'assenso di alcuno di quei che sin da principio sentivano meco, ho guadagnato quel di molti che erano di contrario parere.
Però staremo attendendo il resto, e poi si risolverà quello che parrà più a proposito.
Galileo Galilei, Venere, Luna e Pianeti Medicei, e nuove apparenze di Saturno pag. 3/20
Lastra, Villa delle Selve, 1° dicembre 1612 pag. 3/20
Quanto ad Apelle, a me ancora dispiace che e non abbia veduta la mia seconda lettera avanti la pubblicazione della sua Più Accurata Disquisizione, e che la mia ambiguità e pigrizia nello scrivere non abbia potuto tener dietro alla sua resoluzione e prontezza: ben è vero che buona causa della dilazione n'è stato l'esser trattenute le mie lettere più d'un mese in Venezia, dalla troppa stima che di esse fece l'Illustrissimo Sig. Gio. Francesco Sagredo, volendo che ne restasse copia in quella città, dove a me pareva d'essere a bastanza onorato da una semplice sua lettura; il che per la moltitudine delle figure ricercò assai tempo. Dispiacemi ancora della difficoltà che apporta ad Apelle l'aver io scritto nella nostra favella fiorentina; il che ho fatto per diversi rispetti, uno de i quali è il non volere in certo modo abusare la ricchezza e perfezion di tal lingua, bastevole a trattare e spiegar e' concetti di tutte le facoltadi; e però dalle nostre Accademie e da tutta la città vien gradito lo scrivere più in questo che in altro idioma.
Ma in oltre ci ho auto un altro mio particolar interesse, ed è il non privarmi delle risposte di V. S. in tal lingua, vedute da me e da gli amici miei con molto maggior diletto e meraviglia che se fossero scritte del più purgato stile latino; e parci, nel leggere lettere di locuzione tanto propria, che Firenze estenda i suoi confini, anzi il recinto delle sue mura, sino in Augusta.
Quello che V. S. mi scrive essergli intervenuto nel leggere il mio trattato Delle cose che stanno su l'acqua, cioè che quelli che da principio gli parvero paradossi, in ultimo gli riuscirono conclusioni vere e manifestamente dimostrate, sappia che è accaduto qua a molti, reputati per altri lor giudizii persone di gusto perfetto e saldo discorso. Restano solamente in contradizzione alcuni severi difensori di ogni minuzia peripatetica, li quali, per quel che io posso comprendere, educati e nutriti sin dalla prima infanzia de i lor studii in questa opinione, che il filosofare non sia né possa esser altro che un far gran pratica sopra i testi di Aristotele, sì che prontamente ed in gran numero si possino da diversi luoghi raccòrre ed accozzare per le prove di qualunque proposto problema, non vogliono mai sollevar gli occhi da quelle carte, quasi che questo gran libro del mondo non fosse scritto dalla natura per esser letto da altri che da Aristotele, e che gli occhi suoi avessero a vedere per tutta la sua posterità.
Questi, che si sottopongono a così strette leggi, mi fanno sovvenire di certi obblighi a i quali tal volta per ischerzo si astringono capricciosi pittori, di voler rappresentare un volto umano o altra figura con l'accozzamento ora de' soli strumenti dell'agricoltura, ora de' frutti solamente o de i fiori di questa o di quella stagione: le quali bizzarrie, sin che vengono proposte per ischerzo, son belle e piacevoli, e mostrano maggior perspicacità in questo artefice che in quello, secondo che egli averà saputo più acconciamente elegger ed applicar questa cosa o quella alla parte imitata; ma se alcuno, per aver forse consumati tutti i suoi studii in simil foggia di dipignere, volesse poi universalmente concludere, ogni altra maniera d'imitare esser imperfetta e biasimevole, certo che 'l Cigoli e gli altri pittori illustri si riderebbono di lui.
Di questi che mi son contrarii di opinione, alcuni hanno scritto ed altri stanno scrivendo; in pubblico non si è veduto sin ora altro che due scritture, una di Accademico Incognito, e l'altra di un lettor di lingua greca nello Studio di Pisa, ed amendue le invio con la presente a V. S. Gli amici miei son di parere, ed io da loro non discordo, che non comparendo opposizioni più salde, non sia bisogno di risponder altro; e stimano che per quietar questi che restano ancora inquieti, ogn'altra fatica sarebbe vana, non men che superflua per i già persuasi; ed io devo stimar le mie conclusioni vere e le ragioni valide, poi che, senza perder l'assenso di alcuno di quei che sin da principio sentivano meco, ho guadagnato quel di molti che erano di contrario parere.
Però staremo attendendo il resto, e poi si risolverà quello che parrà più a proposito.