La Trebbiatura
O meglio detto localmente la Battitura di' grano.
Più aie si facevano, e più si mangiava
Più aie si facevano, e più si mangiava
Per dire la verità quell'anno non mi era andata tanto bene, credo di aver partecipato a quattro trebbiature o forse cinque, i miei compagni ne avevano fatto almeno il doppio.
Dunque vediamo: la prima ricordo bene dai Tinagli, e la seconda dalla Marina del Martelli, che ci fece assaggiare il vino che Antonino ed io andammo ad aiutare ad infiascare in cantina, con Augusto.
Augusto era un omone grande che faceva impressione; teneva dietro l'uscio della cantina, un fucile ad avancarica di quelli da brigante, che gli avevo visto usare a mezzogiorno di Pasqua, quando era festeggiata la Resurrezione di Cristo . (1.)
Non vi dico le fantasie che suscitava in me quel fucile.
Terza trebbiatura dal Biancalani, casa dei miei amici Ademaro e Marina, Andavo a scuola con loro, e le merende a pane e olio preparate con cura dalla Bruna la loro mamma non si dimenticano.
Seduti su di una lunga panca di legno con un tavolone enorme, (la famiglia Biancalani era numerosa e anche generosa) ci siamo ritrovati anche in dieci amici a giocare o fare le lezioni di scuola.
La merenda diventava quasi d'obbligo in quelle circostanze; e la spaziosa cucina che ci ospitava diveniva particolarmente accogliente d'inverno, quando un camino sempre acceso mitigava il freddo di Calcinaia.
Quarta trebbiatura, (2) dal Cei.
La loro aia era molto bella e piena di cose interessanti: il fienile a due piani, la legnaia, il loggiato per i carri, la concimaia, l'orto, il capanno. Insomma una città!
Ma ancora più interessanti erano le cantine, enormi, con la tinaia e una rampa che si poteva scendere con i carri.
Si narrava che in antico quel luogo ospitasse un convento, e ci fossero anche dei fantasmi. La struttura vista oggi fa presumere che fosse veramente un convento (ora vi è un ristorante). (3.)
Qualche volta con Paolo di Cei (Pordo), suo fratello Piero (Capino) e Rita sua sorella maggiore, vi entravamo di soppiatto con una candela e tentavamo di esplorarla, ma prima che terminassimo c'era sempre qualche impedimento.
Oggi, credo che il maggiore degli ostacoli fosse la mancanza di coraggio di tutti noi, che riuscivamo a farci paura uno con l'altro.
Poi dopo la trebbiatura dal Cei, mi devo esser preso un mal di gola e di conseguenza la mamma non mi permetteva di andare a fare grosse sudate; il mese di luglio (4) era quasi a metà e la trebbiatura stava finendo. Finalmente, quando i miei compagni vennero a trovarmi a casa invitandomi ad andare a "battere" al podere del Fantacci "La Villetta " (il proprietario, chiamato " l'americano" era un azionista della ditta di penne Parker), ebbi il consenso ad andare da parte della mamma.
I Tognaccini, contadini della villa, li conoscevo bene per certe frequentazioni della casa di mio zio (6)
La loro casa era posta in via Traccoleria, (5) circa trecento metri più a valle; fra la villa e la casa, una bella aia racchiusa fra gli edifici, che raggiunsi dopo una corsa a rotta di collo accompagnata dal solo frinire delle cicale.
Mi venne subito incontro trafelata la Rosanna con un cocomero in mano (dirigeva da brava massaia la cucina), e pensai ci fosse un divieto della mamma, invece mi disse: Franco, conosci la menta d'acqua?
Risposi di sì, e allora m'invitò ad andare in fondo alla viottola dove scorreva il borro di Traccoleria a prenderne un bel mazzetto, raccomandandomi che fosse ben pulita.
Prendi le cime!
Aggiunse rientrando in cucina. Non avevo avuto il tempo di riflettere e mentre trotterellavo verso il borro, pensavo a che cavolo gli servisse la menta d'acqua per il cocomero, (7) bastava quella dell'orto che tutte le contadine coltivavano nei vecchi cocci di ceramica non più utilizzati.
Le sorprese per me non erano finite, direi una vera meraviglia mi attendeva.
Quando giunsi trafelato e sudato intinto nella grande cucina, vidi sul tavolo una grossa insalatiera di vetro verde, enorme, con dentro dei cubetti bianchi che galleggiavano. Non avevo mai visto una cosa simile e non mi raccapezzavo cosa fosse.
Ero impalato ad osservare quella roba, quando sentii una voce: la menta !! Franchino svelto!
Qualcuno me la tolse di mano e sciacquatola nel catino, la cimò e la getto nell'insalatiera gigante.
La mia attenzione era rivolta solo alla grande insalatiera, e come incantato esclamai: ma cos'è?
Il sorriso della Rosanna illumino la cucina ed esclamò: dategliene un bicchiere, un vedete che s'è incantato, se lo merita, è tutto sudato!
Rivolta a me poi disse: bevi piano a piccoli sorsi, prima, però, bagnati i polsi e la fronte.
Nel gotto (8) vi era andato un rametto di menta e il bicchiere conteneva un liquido verde, ma non c'era quella roba bianca che galleggiava.
A osservarla meglio sembrava ghiaccio, ma di luglio non era possibile e poi era cosi perfetta che sembrava fatta apposta. Il ghiaccio, nessuno lo avrebbe frantumato così preciso (9) .
Io però non ero soddisfatto, nel bicchiere non c'era l'oggetto della mia curiosità. La Bruna Biancalani che mi conosceva meglio per avermi ospitato tante volte a casa sua esclamò: e dategli un paio di cubetti, un vedete che è mezzora che li punta, sembra uno spinone.
Nel mio bicchiere arrivarono tre o quattro cubetti di ghiaccio presi con delle pinze. Così finalmente fu soddisfatta la mia curiosità.
Non avevo mai bevuto la menta, non avevo mai visto il ghiaccio in cubetti fino a quel momento. La menta serviva solo come ornamento, ma era veramente una cosa stupenda quella grossa "zangola" di menta fredda con le foglioline verdi che galleggiavano e diffondevano il profumo nella stanza.
Mi fiondai nell'aia e per vincere il rumore assordante del trattore che faceva funzionare la trebbiatrice,e urlai a tutta gola: ragazzi in cucina ce la menta !!" (10)
La frase non aveva molto senso detta cosi, ma la cucina in un batter d'occhio si riempì di ragazzi e adulti.
Franco Terreni
(1) Negli anni 50 del 1900 la Resurrezione di Cristo veniva festeggiata a mezzogiorno, con spari e botti.
Noi ragazzi festeggiavamo facendo esplodere la polvere di potassio ricavata dalle pasticche per la tosse, triturate e mischiate in egual misura con lo zolfo ricavato dai sacchetti per medicare le viti. Si metteva il composto sotto un sasso liscio, con un tallone a gravare sopra con la forza del peso del corpo, e con l'altro tallone si colpiva nel tacco.
Lo sfregamento faceva esplodere il composto. Sempre con la solita miscela, ma in quantità maggiore, si creavano dei veri boati lanciando sopra una lastra di pietra grossi massi, con molti rischi e danni.
(2) Quando non vi erano lavori in corso da parte dei contadini, o la massaia non ci stendeva i panni ad asciugare, le aie erano dei veri parchi di divertimento, specie per i fienili e le capanne.
Ma era raro accedervi, anche per la presenza di animali da cortile che vi sostavano.
(3) Oggi vi è un bel ristorante in stile rustico e i restauri effettuati fanno risaltare meglio quello che prima di divenire una casa colonica a mezzadria, doveva essere un edificio molto antico. Alcuni elementi interni fanno ipotizzare possa risalire al XII secolo.
(4) La trebbiatura del grano si svolgeva cosi: il trattore con a rimorchio la macchina trebbiatrice più piccola che vi fosse, risaliva la stretta strada di via Calcinaia, allora sterrata, sino a raggiungere le Casine di San Romolo Altre volte giungeva a S.Romolo alla Fattoria del Torricino, provendo da S.Ilario I contadini avevano ammucchiato il loro raccolto per "barche", che poi una ad una avrebbero trebbiato.
In seguito tutto l'apparato meccanico si spostava a valle, e di nuovo batteva quando incontrava nel percorso un podere. Il Fantacci era l'ultimo dei poderi di via Traccoleria.
Le aie sterrate, venivano preparate con la bovina, liquefacendo lo sterco di vacca. . Sotto il sole, seccando, si formava uno strato che permetteva di raccogliere fino all'ultimo chicco di grano, che sarebbe servito poi per alimentazione animale.
(5)Via Traccoleria è stata la via della mia infanzia, il mio piccolo universo. La strada scende verso valle serpeggiando stretta fra i muri, allora molto alti, fra ville e giardini. Oggi è una via molto romantica, richiama quelle dipinte da Ottone Rosai.
(6) Nella casa di mio zio, prima della Liberazione, si riunivano spesso molti abitanti del paese per discutere di politica e di solidarietà. Poi si riapri la casa del popolo "Il Circolino di Calcinaia", e le riunioni furono fatte là. Io abitavo nella villa detta " Le Fascicole" in due stanzette contigue a quelle della casa della zia. Poiché mio padre era morto alla FIAT di Torino, e la mamma doveva lavorare per vivere, durante il giorno mi seguiva la zia Rina. Fui quasi allevato da lei e mio zio Donato, e nel mio intimo gli zii li ho sempre chiamati "zimamma e zibabbo".
(7) Il vero obbiettivo della partecipazione alla trebbiatura , per noi ragazzi era andare a mangiare; negli anni cinquanta cerano pochi soldi e poca roba. Solitamente quando si faceva tardi perché il podere era grande e c'era più grano da trebbiare, si finiva dalla mattina presto verso le due del pomeriggio; naturalmente rinfrancati da vari spuntini, in attesa del desinare. I nostri genitori ci mandavano volentieri a fare queste cose, perché erano occasioni per fare dei pasti decenti . In quelle occasioni vi era veramente di tutto: pasta asciutta al sugo di carne, arrosti di polli e conigli, piccioni, "mutola in umido"(anatra muta), verdure di tutti i tipi e frutta. Il tutto condito con buon vino di casa (i ragazzi però con il vino potevano solo allungare il collo). Altra abitudine oramai persa era il cocomero tagliato a tocchettini con foglie di menta (provare per credere). I cocomeri crescevano nei campi in pianura, verso Stagno e Romania.(Quasi ogni podere di Calcinaia aveva delle porzioni di terreno, in quelle località), Quei cocomeri, piccoli e con la scorza di un verde cupo, erano all'interno di un rosso porpora, quasi viola . Oggi così dolci, non si trovano più.
(8) Bicchiere da vino per la mescita, in uso anche nelle famiglie. C'era anche una misura più piccola, detta gottino,. Anche per le bottiglie di vetro, si aveva varie capienze, con tanto di marchio di garanzia.
(9) Il frigorifero era una vera rarità e la famiglia Fantacci li aveva fatti venire appositamente per loro dall'America. Io e molti altri ragazzi in quegli anni non li avevamo mai visti. I contenitori per i cubetti del ghiaccio erano per noi inimmaginabili. Da noi il ghiaccio arrivava qualche volta in grosse stanghe involtate nelle balle di juta, e veniva per lo più adoperato per rifornire i rari ristoranti, le macellerie, per fare gelati e granite. Solo le case dei signori , avevano la ghiacciaia.
(10) La menta, come bevanda, allora non era conosciuta.
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(1) Negli anni 50 del 1900 la Resurrezione di Cristo veniva festeggiata a mezzogiorno, con spari e botti.
Noi ragazzi festeggiavamo facendo esplodere la polvere di potassio ricavata dalle pasticche per la tosse, triturate e mischiate in egual misura con lo zolfo ricavato dai sacchetti per medicare le viti. Si metteva il composto sotto un sasso liscio, con un tallone a gravare sopra con la forza del peso del corpo, e con l'altro tallone si colpiva nel tacco.
Lo sfregamento faceva esplodere il composto. Sempre con la solita miscela, ma in quantità maggiore, si creavano dei veri boati lanciando sopra una lastra di pietra grossi massi, con molti rischi e danni.
(2) Quando non vi erano lavori in corso da parte dei contadini, o la massaia non ci stendeva i panni ad asciugare, le aie erano dei veri parchi di divertimento, specie per i fienili e le capanne.
Ma era raro accedervi, anche per la presenza di animali da cortile che vi sostavano.
(3) Oggi vi è un bel ristorante in stile rustico e i restauri effettuati fanno risaltare meglio quello che prima di divenire una casa colonica a mezzadria, doveva essere un edificio molto antico. Alcuni elementi interni fanno ipotizzare possa risalire al XII secolo.
(4) La trebbiatura del grano si svolgeva cosi: il trattore con a rimorchio la macchina trebbiatrice più piccola che vi fosse, risaliva la stretta strada di via Calcinaia, allora sterrata, sino a raggiungere le Casine di San Romolo Altre volte giungeva a S.Romolo alla Fattoria del Torricino, provendo da S.Ilario I contadini avevano ammucchiato il loro raccolto per "barche", che poi una ad una avrebbero trebbiato.
In seguito tutto l'apparato meccanico si spostava a valle, e di nuovo batteva quando incontrava nel percorso un podere. Il Fantacci era l'ultimo dei poderi di via Traccoleria.
Le aie sterrate, venivano preparate con la bovina, liquefacendo lo sterco di vacca. . Sotto il sole, seccando, si formava uno strato che permetteva di raccogliere fino all'ultimo chicco di grano, che sarebbe servito poi per alimentazione animale.
(5)Via Traccoleria è stata la via della mia infanzia, il mio piccolo universo. La strada scende verso valle serpeggiando stretta fra i muri, allora molto alti, fra ville e giardini. Oggi è una via molto romantica, richiama quelle dipinte da Ottone Rosai.
(6) Nella casa di mio zio, prima della Liberazione, si riunivano spesso molti abitanti del paese per discutere di politica e di solidarietà. Poi si riapri la casa del popolo "Il Circolino di Calcinaia", e le riunioni furono fatte là. Io abitavo nella villa detta " Le Fascicole" in due stanzette contigue a quelle della casa della zia. Poiché mio padre era morto alla FIAT di Torino, e la mamma doveva lavorare per vivere, durante il giorno mi seguiva la zia Rina. Fui quasi allevato da lei e mio zio Donato, e nel mio intimo gli zii li ho sempre chiamati "zimamma e zibabbo".
(7) Il vero obbiettivo della partecipazione alla trebbiatura , per noi ragazzi era andare a mangiare; negli anni cinquanta cerano pochi soldi e poca roba. Solitamente quando si faceva tardi perché il podere era grande e c'era più grano da trebbiare, si finiva dalla mattina presto verso le due del pomeriggio; naturalmente rinfrancati da vari spuntini, in attesa del desinare. I nostri genitori ci mandavano volentieri a fare queste cose, perché erano occasioni per fare dei pasti decenti . In quelle occasioni vi era veramente di tutto: pasta asciutta al sugo di carne, arrosti di polli e conigli, piccioni, "mutola in umido"(anatra muta), verdure di tutti i tipi e frutta. Il tutto condito con buon vino di casa (i ragazzi però con il vino potevano solo allungare il collo). Altra abitudine oramai persa era il cocomero tagliato a tocchettini con foglie di menta (provare per credere). I cocomeri crescevano nei campi in pianura, verso Stagno e Romania.(Quasi ogni podere di Calcinaia aveva delle porzioni di terreno, in quelle località), Quei cocomeri, piccoli e con la scorza di un verde cupo, erano all'interno di un rosso porpora, quasi viola . Oggi così dolci, non si trovano più.
(8) Bicchiere da vino per la mescita, in uso anche nelle famiglie. C'era anche una misura più piccola, detta gottino,. Anche per le bottiglie di vetro, si aveva varie capienze, con tanto di marchio di garanzia.
(9) Il frigorifero era una vera rarità e la famiglia Fantacci li aveva fatti venire appositamente per loro dall'America. Io e molti altri ragazzi in quegli anni non li avevamo mai visti. I contenitori per i cubetti del ghiaccio erano per noi inimmaginabili. Da noi il ghiaccio arrivava qualche volta in grosse stanghe involtate nelle balle di juta, e veniva per lo più adoperato per rifornire i rari ristoranti, le macellerie, per fare gelati e granite. Solo le case dei signori , avevano la ghiacciaia.
(10) La menta, come bevanda, allora non era conosciuta.
Data ultima modifica:
02 ottobre 2013