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Le A.C.L.I. dopo il 1957


Il sesto Congresso nazionale Acli (Firenze, 1/4 novembre 1957) ha come tema centrale la ricerca del massimo di unità tra i lavoratori, e la necessità di un'omogeneità di presenza di aclisti nella DC per evitare le correnti interne e per poter influire con il maggior peso possibile sulle scelte nazionali operate dal partito al governo.

È la revisione dell'assunto del quarto Congresso (1953) che privilegiava la formazione politica dei dirigenti.

In questi anni si apre la “seconda crisi” delle Acli, che nasce dal tentativo di diventare, all'interno del movimento dei lavoratori, una forza politica mossa dalla lettura cristiana della lotta sociale, alternativa quindi a quella marxista imperniata sul conflitto di classe e fino a quel momento egemone nel teatro delle lotte sociali.

La crisi prende le mosse dal tentativo del presidente Pennazzato di dar vita, all'interno della DC, alla corrente di “Rinnovamento”.

Nasce così l'accusa di aver voluto creare un partito “classista” all'interno di un partito “non classista”, operando quindi una spaccatura.

Il settimo Congresso nazionale Acli (Milano, 6/8  dicembre 1959) è segnato dalla discussione sull'incompatibilità tra le cariche acliste e quelle parlamentari.

Finirà con l'accettazione della direttiva Cei ma la discussione è dura e verte su due fronti.

Pennazzato guida la corrente contraria all'incompatibilità delle cariche: un cedimento in tal senso sarebbe stato lesivo dell'autonomia del movimento.

Livio Labor raccoglie a sé la corrente favorevole all'incompatibilità, vista come necessaria per assicurare alle Acli una reale autonomia dalla DC.

La visione di Labor vince, tuttavia viene approvata la facoltà per gli organi dirigenti di concedere “deroghe al principio”.

Sulla base di questa possibilità di deroga, il presidente Pennazzato, che è anche parlamentare, rimane in carica con lo scopo di assicurare un passaggio non traumatico ad un nuovo presidente non parlamentare.

Ciò avverrà qualche mese più tardi, il 10 aprile 1960, nel corso di un Consiglio nazionale che non poteva che essere vivace dove Ugo Piazzi (sostenitore della compatibilità tra incarichi direttivi e parlamentari) prevarrà per un solo voto (32 contro 31) su Vittorio Pozzar, vicino alle posizioni espresse dalla Cei.

Anche se segnato da alcune significative iniziative, il mandato di Piazzi può essere ricordato come una presidenza di transizione, che non ebbe modo di esprimere posizioni politiche incisive, anche se le occasioni politiche non mancarono.

Una per tutte: il governo Tambroni, appoggiato dai voti esterni del MSI.

L'ottavo Congresso nazionale Acli (Bari, 8/10  dicembre 1961) porta alla presidenza Livio Labor.

Da tempo attivo nelle Acli, Labor, attraverso la rivista MOC, aveva elaborato un'idea di Acli come «movimento autonomo privilegiante l'azione sociale».

Sotto la presidenza Labor si sviluppa il settore formativo e viene prefigurato uno scenario di gran riformismo sociale, che dovrebbe coinvolgere DC e Cisl e che ha per obiettivo la diffusione dei metodi democratici in ogni settore della società.

Ciò non può che partire da un decentramento del potere centrale in favore delle regioni e da uno sviluppo della scuola, inteso sia come strutture che come possibilità di partecipazione.

Nel nono Congresso nazionale Acli (Roma, 19/22  dicembre 1963) la linea di Labor si afferma.

La presenza al Congresso di Aldo Moro, allora presidente del primo vero governo di centro-sinistra, e l'udienza concessa ai congressisti da Montini, da poco salito al soglio pontificio come Paolo VI, testimoniano del credito riacquistato dalle Acli in sede politica e religiosa.

Gli anni che seguono segnano l'involuzione del progetto politico di centro-sinistra, l'inizio della trasformazione del comunismo italiano, il rilancio dell'unità sindacale e l'evoluzione ideologica del movimento delle Acli, che al Convegno di Vallombrosa del 1965, avente per tema “Realtà  e  motivi del  comunismo nella  società italiana”  vedrà Livio
Labor affermare che il comunismo fornisce un risposta «errata ad interrogativi che errati non sono e che sono anche nostri»,  il che equivaleva a riconoscere «le giuste battaglie dei lavoratori».

Fermo restando il rifiuto delle Acli al dialogo con il PCI, si apriva però la porta alla discussione di tutti quei drammi che la società italiana viveva.

Tutte queste sollecitazioni fanno sì che al decimo Congresso nazionale delle Acli (Roma, 3/6  novembre 1966) le Acli  si schierino per una più aperta partecipazione dei lavoratori alla società democratica, rimuovendo impedimenti che sia il sindacato che la DC sono restii a riconoscere come ostacoli a tale processo.

Le Acli di Livio Labor si avviano verso quel «ruolo vulcanico» che le fa sentire in grado di poter dialogare con tutti i lavoratori e perciò, negli anni seguenti, anche sotto la spinta delle sollecitazioni che arrivano dal Concilio Vaticano II e delle lotte operaie e giovanili del 1968, si inizia a parlare di libertà di voto dei cattolici e di unità sindacale, raccogliendo la diffidenza del mondo politico da una parte e dei sindacati dall'altra.

In quegli anni, un altro tema, oggi più che mai attuale, viene anticipato dalle Acli: sulla lettura della Populorum progressio nasce infatti l'esigenza di una “radicale revisione” dei rapporti tra società sviluppate e paesi in via di sviluppo.

Queste esigenze sono i temi principali dell'undicesimo Congresso nazionale delle Acli (Torino, 19/22  giugno 1969).

Questo Congresso è considerato “storico” perché vede affermarsi per gli aclisti il principio di libertà di voto e per le Acli l'autonomia di scelta rispetto ai legami politici e culturali.

Cade quindi il principio del “collateralismo” ed ha via libera l'esperienza, voluta da Labor, del Movimento politico dei lavoratori, che vede riuniti aclisti, sindacalisti, i confluiti in Forze Nuove ed esponenti della sinistra democristiana.

Per seguire questo progetto politico, Labor lascia la presidenza delle Acli proprio in occasione di questo Congresso.

A Livio Labor succede Emilio Gabaglio.

Gli indirizzi dati dal Congresso di Torino accrescono, all'interno delle Acli, la sensibilità anticapitalista e classista, che porta ad una particolare attenzione per la metodologia marxista di interpretazione della realtà sociale.

Ne consegue una certa perplessità in campo cattolico e democristiano che culmina in un intervento della Cei (2 marzo 1970, lettera del presidente della Cei, cardinale Carlo Poma) che chiede al presidente Gabaglio chiarimenti circa indirizzi che sembrano essere inconciliabili con la visione cristiana della politica e della società.

Il dialogo tra la Cei e le Acli si interrompe dopo la scelta operata dalle Acli nel Convegno di Vallombrosa del 27/30  agosto 1970.

È una scelta in senso socialista che viene ritenuta compatibile con la coscienza cristiana ed atta a realizzare la liberazione integrale dell'uomo.

Da questo indirizzo la gerarchia ecclesiastica prende le distanze, prima con mons. Cesare Pagani, subentrato a mons. Quadri come Assistente ecclesiastico, poi con la Cei, che l'8 maggio 1971 emana un duro comunicato e ritira l'Assistente ecclesiastico.

Particolarmente severo è Paolo VI, pur da sempre vicino alle Acli, che il 19 giugno 1971 sottolinea come gli orientamenti delle Acli le abbiano condotte fuori "dall'ambito delle associazioni per le quali la gerarchia accorda il suo assenso".

Le Acli si lacerano in tre correnti interne ed il primo novembre 1971 nasce il Movimento cristiano dei lavoratori italiani (Mocli) e l'8 dicembre la Federacli.

Le tre correnti sono guidate da Pozzar (Iniziativa di base per l'unità delle Acli), Carboni e Rosati (Autonomia  e l'unità delle Acli), Brenna (Autonomia  delle A per l'unità della classe operaia).





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