A. Cammilleri, Gli arancini di Montalbano
Mondadori, 1999, pp. 329-330
Gesù!
Gli arancini di Adelina!
Li aveva assaggiati solo una volta: un ricordo che sicuramente gli era trasùto nel Dna, nel patrimonio genetico.
Adelina ci metteva due jornate sane sane a prepararli.
Ne sapeva, a memoria, la ricetta.
Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico.
Il giorno appresso si prepara un risotto, quello che chiamano alla milanisa (senza zafferano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre.
Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini `na poco di fette
di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pi carità di Dio!).
Il suco della carne s'ammisca col risotto, s'assistema nel palmo d'una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell'altro riso a formare una bella palla.
Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d'ovo e nel pane grattato.
Doppo, tutti gli arancini s'infilano in una padeddra d'oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d'oro vecchio.
Si lasciano scolare sulla carta.
E, alla fine, ringraziannu u Signuruzzu, si mangiano!
Fabiola Bini
Letizia Frattuzzi
Cristina Gallerini
Anna Vassallo