"L'Alberghetto", prigione del Savonarola
"L'Alberghetto", prigione del Savonarola
Lastrigiani ed ospiti illustri

Savonarola - Prigionia e processi civili


Savonarola fu rinchiuso all’alberghetto, (così era chiamata la prigione della torre di Arnolfo dove nel 1433, aveva “soggiornato” anche Cosimo il Vecchio) e furono fatti arresti tra religiosi e laici che avevano partecipato alla difesa del convento e seguaci del frate.

Al papa fu inviato senza indugio un corriere per informarlo sugli avvenimenti.

Arrabbiati e Compagnacci dominavano incontrastati nella città, e già il 9 aprile, sciolti gli Otto di Guardia e Balìa dove vi erano seguaci del frate, fu fatta una commissione di 17 membri nominati dalla Signoria per stabilire come procedere. (Divennero 16 perché Francesco degli Albizzi preferì ritirarsi.)

Il giorno successivo Girolamo venne condotto al palazzo del Bargello per essere interrogato.

Si avranno due processi civili: il primo si svolse dal 9 al 19 aprile, l’altro dal 21 al 25 aprile.

Nei giorni che seguirono la carcerazione molti sostenitori e ammiratori abbandonarono Savonarola.

Il frate non si sarebbe potuto processare in quanto religioso senza l’autorizzazione papale, pena la scomunica.

Ma per le molte insistenze degli ambasciatori fiorentini a Roma, il papa si affretterà a mandare l’assoluzione postuma per le sollecite iniziative processuali della Signoria.

Il primo processo fu letto nel Consiglio Grande il 19 aprile, assente il frate come invece era prescritto, (si disse che non si era presentato per paura di trovarsi al cospetto del popolo) e fatta circolare un’edizione a stampa.

Savonarola ammetteva che non era vero profeta, (successivamente, libero dalla tortura, ritrattò e più non ammise) e che per sete di potere e gloria terrena aveva fatto azione politica e opposizione al papa.

Sulle esecuzioni del 5 agosto disse di non averle potute impedire, e riguardo alla scomunica, si era opposto “per honore et reputatione et mantenimento” del suo operare.

Per le lettere indirizzate ai regnanti europei per eleggere un concilio, era stato motivato dalla corruzione della curia romana.

Nel secondo processo, secondo il verbale senza tortura o lesione alcuna di corpo, si cercò di ottenere nuove confessioni.

Anche questo verbale fu letto il 25 aprile nel Consiglio Grande, sempre in assenza di Savonarola.

Le inquisizioni a carico di frate Domenico da Pescia e Silvestro Maruffi furono simili ma assai più veloci.

Il primo difese Savonarola, il secondo disse che aveva ingannato la città.

Gli originali dei verbali andarono ben presto distrutti, ma ne circolarono molte trascrizioni e copie.

I resoconti notarili delle confessioni, firmati dal Savonarola, non sono dati sapere quale valore probante possano avere, procurati come furono con torture, manipolazioni e interpolazioni di proposizioni; le stesse persone erano verbalizzanti e giudicanti.






 


Data ultima modifica:
05 ottobre 2020

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"L'Alberghetto", prigione del Savonarola


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